«Bestia». Oppure, «cretino». O altri insulti irripetibili. A Sesto San Giovanni non sembrano pochi i cittadini che non hanno gradito la decisione del sindaco Roberto Di Stefano di non concedere la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, senatrice a vita sopravvissuta alla deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz. Chi ha accettato di parlarne con La Sestina, lo ha fatto soprattutto per esprimere la sua contrarietà. E i vari epiteti lanciati al primo cittadino, anche se a videocamera del cellulare spenta, rendono l’idea dello sdegno di chi non può credere che nella città medaglia d’oro alla Resistenza il passato venga oltraggiato così.


Il fatto –
 Mercoledì 20 novembre il consiglio comunale di Sesto San Giovanni ha respinto la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle e appoggiata dal Partito Democratico di concedere la cittadinanza onoraria alla senatrice Segre, unica superstite della sua famiglia alla Shoah durante la Seconda Guerra Mondiale. «Non ha a che fare con la storia della nostra città e darle la cittadinanza sarebbe svilente per lei perché è una strumentalizzazione politica», la motivazione illustrata da Di Stefano, sindaco di Forza Italia e leader della coalizione di maggioranza di centro-destra. Nei giorni scorsi c’era stato un episodio simile a Biella: anche lì, la maggioranza di centro-destra si era opposta al conferimento della cittadinanza a Segre, prima del pentimento del sindaco dopo la rinuncia alla stessa onorificenza del comico Ezio Greggio per solidarietà con la senatrice. «Capisco che tu sei il sindaco e hai la maggioranza», sostiene con forza una signora anziana, «ma non puoi cancellare così la nostra storia». Un’altra intervistata, quasi commossa, dice: «Per certe cose non si dovrebbe tenere conto del colore politico, è stata una cosa brutta». Una posizione legittima, ma la memoria storica è ormai diventata un dichiarato territorio di scontro. Il sindaco ha comunque invitato Segre alle celebrazioni del Giorno della Memoria il prossimo 27 gennaio, suscitando l’ironia dell’opposizione: «Verrebbe quasi da dirle, allora, di starsene a casa, visto che qui a Sesto è considerata un’estranea» – ha replicato il PD locale, per poi proseguire: «Dire che Liliana Segre non ha alcun legame con Sesto San Giovanni è ridicolo. La senatrice è iscritta all’Aned, associazione degli ex deportati attiva sul nostro territorio dagli anni Cinquanta, e organizzatrice ogni anno di un partecipatissimo viaggio nei lager con molti istituti scolastici e cittadini».

Le reazioni dei cittadini – Il giorno dopo, nelle strade della città, sono molti quelli non ancora a conoscenza dell’accaduto. Chi però ne è già al corrente, di solito persone di una certa età, mostra di avere le idee chiare: «Per me è stata una scelta sbagliata», commenta un passante. Ha lo sguardo di chi pensa che sia impossibile sostenere il contrario, eppure è stata presa la decisione opposta: «Io, comunque, la cittadinanza gliel’avrei data». Come lui, la pensa la maggior parte degli intervistati, alcuni toccati anche personalmente: «Non potevo mai immaginare che qui a Sesto potesse succedere una cosa simile, anche se con una maggioranza di centro-destra. Io ho anche tradotto un testo inglese sulla resistenza ebrea all’interno dei campi di concentramento», ci confida un’ex professoressa universitaria ormai in pensione. Che Sesto non sia più la famosa “Stalingrado d’Italia” è cosa detta e ridetta, ma l’impressione che si stiano dimenticando alcuni valori ritenuti fondanti è diffusa: «Si devono rispettare le tradizioni», dice ancora la prof. Qualcun altro è ancora più netto: «Tutto è già stato perso».

Un sentimento comune? – «Tutte le persone che conosco ci sono rimaste male», commenta una signora. Ma la comunità di Sesto è davvero compatta? Qualcuno ascolta le domande, ma preferisce non rispondere. Alcuni sguardi suggeriscono che non si ha voglia di esprimersi sull’argomento. Magari si ha paura di risultare impopolari. Qualcuno preferisce non schierarsi: “La cittadinanza si poteva dare e non dare, sono neutrale», afferma con chiarezza un signore. La spiegazione più lucida la offre una commerciante del luogo: “Ho letto le motivazioni del sindaco, che sostiene che lei non abbia nulla a che fare con Sesto. A prescindere se ciò sia vero o meno, poteva essere un’ottima occasione per lanciare un segnale di solidarietà in questo clima attuale segnato da un ritorno del neonazismo. Invece è stata alimentata un’altra polemica inutile». Non la espone però a telecamere accese, perché si sa, «ho un’attività e il centro è piccolo, qua non tutti abbiamo le stesse idee e non mi posso permettere di perdere clienti». La testimonianza che qualche voce fuori dal coro c’è. O magari conviene esserlo. Sotto il Comune della città una signora vorrebbe dire la sua, ma fila via dritta dopo la domanda. Sa che non sempre conviene parlare: “Non tutti la pensiamo uguale, pensi che io lavoro qui”. Un silenzio auto-imposto. Ma che fa molto rumore, soprattutto in “Piazza della Resistenza”.