«La storia vi giudicherà severamente». Una profezia che sa di livore, quella del presidente americano Donald Trump, che in una lettera alla speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha accusato i democratici di aver messo in piedi «niente più di un tentato colpo di Stato, partigiano e illegale, che basandosi sui sentimenti del Paese fallirà clamorosamente alle urne ».

Impeachment – Sul Commander in Chief degli Stati Uniti grava l’impeachment. La Camera, al termine di otto ore di dibattito, ha approvato due accuse nei suoi confronti: abuso di potere, per aver ricattato l’Ucraina offrendo aiuti militari in cambio di favori politici. E ostruzione del Congresso, per essersi rifiutato di consegnare ogni documento e di permettere tutte le testimonianze richieste dai parlamentari nelle loro indagini.

Le accuse – Per entrambi gli articoli i repubblicani hanno votato compatti la bocciatura della accuse, ma ha prevalso l’opposizione democratica, con 230 voti a favore per il primo articolo (quello sull’abuso di potere) e 229 per il secondo (sull’ostruzione delle indagini del Congresso). A gennaio la parola passerà al Senato, dove si terrà il processo vero e proprio: al momento l’assoluzione di Trump è probabile, data la maggioranza repubblicana in quella sede e la necessità del consenso di due terzi dei senatori per la rimozione del presidente. Nella storia americana non si sono mai verificati casi di destituzione per impeachment di un Capo di Stato, ma Trump è il terzo a finire sotto accusa formale dopo Andrew Jackson nell’Ottocento e Bill Clinton alla fine degli anni Novanta. Quanto a Richard Nixon, si dimise nel 1974 per prevenire l’incriminazione da parte del Congresso in seguito allo scandalo Watergate.

La procedura – Per capire come si è arrivati a questi processi, tra loro differenti nelle dinamiche, occorre prima soffermarsi sul significato di impeachment. Si tratta di una procedura caratteristica dell’ordinamento statunitense attraverso la quale si pone in stato d’accusa un ufficiale federale per un crimine commesso nell’esercizio delle sue funzioni. La stesura e il voto degli articoli di accusa spettano alla Camera dei Rappresentanti, mentre il processo vero e proprio si svolge in Senato, presieduto dal Giudice capo della Corte Suprema. Mentre per la messa in stato d’accusa basta una maggioranza semplice, per la rimozione serve un voto dei due terzi del Senato. I Repubblicani, che hanno votato all’unisono contro l’impeachment di Trump, controllano la maggioranza dei seggi al Senato, per questo l’assoluzione del presidente è più che probabile; i dubbi, al momento, riguardano più che altro le tempistiche del processo, che si sovrapporrà parzialmente con la campagna elettorale in vista delle elezioni del 2020.

Johnson – Nel 1868 la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti decise di mettere in stato d’accusa l’allora presidente in carica Andrew Johnson, incolpato di aver violato la legge Tenure of Office Act, che limitava il potere del Capo di Stato americano di rimuovere alcuni titolari di uffici senza l’approvazione del Senato. Johnson aveva allontanato dal suo incarico di Segretario di Guerra Edwin M. Stanton e aveva cercato di sostituirlo con un altro generale. Il processo che seguì si concluse a maggio dello stesso anno: Johnson fu dichiarato colpevole da 35 senatori contro 19, uno in meno della richiesta maggioranza dei due terzi. Per molti anni il potere del presidente rimase ridimensionato, anche se il Tenure of Office Act fu abrogato nel 1887 e giudicato incostituzionale da una sentenza della Corte Suprema nel 1926.

Il processo per impeachment a Andrew Johnson, nel 1868

Nixon – Per arrivare a un altro celebre caso di impeachment, quello di Richard Nixon, bisogna aspettare un secolo. La vicenda, che si consumò in due anni, è famosa: il 17 giugno 1972 alcuni agenti federali fecero irruzione nel complesso del Watergate a Washington D.C., sede del Comitato Nazionale Democratico, per intercettare le conversazioni che lì si stavano svolgendo. Gli uomini vennero arrestati e il processo fece emergere i loro legami con Nixon, di cui erano stretti collaboratori. Furono costretti alle dimissioni (30 aprile 1973) e lo stesso presidente dovette ammettere – dopo averlo negato più volte – di essere stato a conoscenza del tentato spionaggio e dei successivi tentativi di arrestare il corso della giustizia per evitare la rimozione per impeachment. L’8 agosto del 1974, venuto a sapere che solo 15 senatori avrebbero votato per la sua assoluzione al processo, Nixon si dimise.

Clinton – Infine, Bill Clinton. All’origine del processo che lo vide imputato c’è la nota relazione extraconiugale con la stagista Monica Lewinsky, che dominò per mesi la scena politica del Paese e compromise l’autorevolezza del presidente americano. Dopo mesi di battaglie politiche e giuridiche, il Congresso votò l’impeachment di Clinton, ma la pressione di un’opinione pubblica benigna verso di lui e la difficoltà di tradurre comportamenti moralmente riprovevoli in termini costituzionalmente rilevanti, impedirono alla maggioranza dei senatori di votare per la condanna, nel febbraio del 1999.