Il 2 luglio 1994, a Medellín, in Colombia, si concluse tragicamente la vita di Andrés Escobar, un calciatore di appena 27 anni che divenne simbolo innocente della violenza che attanagliava il suo paese. La sua morte, avvenuta solo dieci giorni dopo un autogol ai Mondiali del 1994, rappresenta una delle pagine più buie della storia del calcio mondiale.
Gli inizi – Andrés Escobar nacque il 13 marzo 1967 a Medellín, nel quartiere di Calasanz, da una famiglia di classe media. Suo padre, Darío Escobar, era un banchiere che in seguito fondò un’organizzazione dedicata a offrire ai giovani la possibilità di giocare a calcio anziché rimanere per strada.
Escobar iniziò la sua carriera calcistica nelle giovanili dell’Atlético Nacional nel 1985, esordendo in prima squadra nel 1986. Come difensore centrale, si distinse immediatamente per il suo stile di gioco pulito, elegante e calmo, caratteristiche che gli valsero il soprannome di “El Caballero del Fútbol” (Il Gentiluomo del Calcio) e “The Gentleman”.
Il suo numero di maglia, il 2, divenne iconico e dopo la sua morte venne soprannominato “L’Immortale Numero 2”. La sua eleganza in campo e la sua sportività lo resero un giocatore molto rispettato, non solo in Colombia ma in tutto il Sud America.
Il trionfo nel 1989 – Il momento più alto della carriera di Escobar fu la Copa Libertadores 1989, quando l’Atlético Nacional vinse il prestigioso torneo sudamericano per la prima volta nella sua storia. Nella finale contro l’Olimpia del Paraguay, giocata in due turni, Escobar fu protagonista: dopo aver perso 2-0 la gara d’andata ad Asunción, l’Atlético Nacional vinse 2-0 a Bogotá, portando la finale ai rigori.
Questo successo non fu solo sportivo: l’Atlético Nacional era finanziato dal narcotraffico di Pablo Escobar (nessuna parentela con il calciatore), e la vittoria rappresentava anche il potere del cartello di Medellín.
L’autogol fatale – La Colombia arrivò ai Mondiali del 1994 negli Stati Uniti come una delle possibili sorprese del torneo. La squadra aveva impressionato nel periodo di qualificazione, rimanendo imbattuta e infliggendo una clamorosa sconfitta per 5-0 all’Argentina in casa loro. Tuttavia, la realtà fu ben diversa dalle aspettative. Il 22 giugno 1994, durante la seconda partita del girone contro gli Stati Uniti, Escobar commise l’errore che gli costò la vita. Al 35′ del primo tempo, nel tentativo di intercettare un cross di John Harkes, deviò sfortunatamente il pallone nella propria porta, regalando il vantaggio agli americani. La Colombia perse 2-1 e, nonostante la successiva vittoria contro la Svizzera, fu eliminata al primo turno. Dopo la partita, Escobar pronunciò la frase che divenne il suo epitaffio: «La vita non termina qui».
Gli ultimi giorni di vita – Quando il 29 giugno la squadra rientrò in Colombia, all’aeroporto di Medellín non c’era quasi nessuno. Gli ultimi giorni di vita di Escobar furono raccontati qualche giorno dopo la sua morte dal quotidiano locale El Tiempo: Il 1° luglio 1994, chiamò alcuni amici e andò prima in un bar nel quartiere El Poblado di Medellín, poi in un negozio di liquori e infine al night club “El Indio”. Sabato 2 luglio si recò in una discoteca nel centro della città e rimase lì fino alle quattro del mattino.
Da qui in poi, riguardo a ciò che avvenne, esistono varie interpretazioni. La maggior parte dei testimoni ha riferito che Escobar si era recato nel parcheggio di un altro club, di fronte al primo, dove aveva lasciato l’auto. Ci sarebbe stata una disputa con alcuni uomini a bordo di una Toyota Land Cruiser nera, che lo avrebbero offeso (secondo un’altra versione, non ci sarebbe stata alcuna disputa). Ciò che è sicuro è che uno di questi individui, l’ex guardia giurata Humberto Muñoz Castro, lo ferì con 6 colpi. Escobar morì poco dopo.
I colpevoli – Inizialmente fu arrestato proprio Muñoz, che lavorava per i fratelli Santiago e Pedro Gallón Henao, due noti narcotrafficanti. Fu condannato a 43 anni di carcere, ma la pena fu ridotta a 26 anni nel 2001 e nel 2005 fu rilasciato dopo aver scontato solo 11 anni.
Per anni però, il caso rimase avvolto nel mistero riguardo ai veri mandanti. Nel 2018, 24 anni dopo l’omicidio, fu arrestato Juan Santiago Gallón Henao, identificato come il vero mandante dell’assassinio. Gallón Henao era legato a “La Oficina de Envigado”, un’organizzazione criminale che aveva riempito il vuoto di potere lasciato dalla morte di Pablo Escobar.
Moventi – Le motivazioni dell’omicidio sono state oggetto di dibattito per decenni: La teoria più accreditata suggerisce che i cartelli della droga avessero perso ingenti somme di denaro scommettendo sulla Colombia. Secondo quanto riportato dall’LA Times all’epoca, un gruppo di scommettitori avrebbe perso 10 milioni di dollari per la sconfitta contro gli Stati Uniti. Alcuni esperti credono invece che l’omicidio fosse parte di una strategia di intimidazione da parte dei nuovi cartelli che cercavano di riempire il vuoto lasciato da Pablo Escobar.
Il periodo successivo alla morte di Pablo Escobar (1993) aveva lasciato Medellín in uno stato di violenza caotica, con diversi gruppi criminali che lottavano per il controllo. In questo contesto, l’omicidio di Escobar potrebbe essere stato semplicemente un esempio della violenza casuale che caratterizzava la città.