Per decenni ha fatto credere ai genitori che loro figlio – ucciso e fatto scomparire dalla mafia – fosse vivo, malato e in fuga per salvarsi dalla vendetta di Cosa Nostra. Così, Francesco Simone, 44 anni di Basicò, nel Messinese, ha truffato una coppia di anziani, estorcendogli almeno 200 mila euro e riducendoli sul lastrico. Arrestato dai carabinieri del comando provinciale di Messina, è accusato di truffa aggravata.

Il denaro estorto – L’indagine, coordinata dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, è nata grazie alle dichiarazioni dell’ex fidanzata dell’arrestato. La donna ha infatti raccontato ai carabinieri che per oltre 10 anni l’ex compagno, Francesco Simone, aveva avuto contatti quotidiani con i genitori di Domenico Pelleriti, il ragazzo scomparso nel 1993. Da allora, l’uomo ha abusato della fiducia dei due anziani, preoccupati per l’incolumità del figlio di cui si erano perse le tracce. Nell’arco di soli 15 giorni, le indagini hanno permesso di accertare ben 11 consegne di denaro – di 50 o 100 euro ciascuna – prelevato dai pochi guadagni dei genitori ottantenni di Pelleriti e da quelli della zia 86enne, tutti e tre titolari di una pensione da bracciante agricolo. I due anziani, da anni in situazione economica drammatica, sono stati spogliati di ogni bene e denaro, tanto da essere costretti a vendere un immobile e fare debiti. E nella ricerca di soldi sono arrivati addirittura a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote.

Torture psicologiche – Per estorcere loro del denaro, Simone ha fatto credere ai genitori che il figlio si fosse trasferito al nord, che era gravemente malato e bisognoso di denaro per cure e medicine. Camuffando la voce, fingeva di essere il figlio al telefono, andando poi a prelevare il denaro personalmente nella casa dei due anziani. A volte, per paura di finire sotto inchiesta, si faceva lasciare le somme nella cassette della posta di una casa cantoniera. I genitori, temendo che l’interruzione del rapporto con lui avrebbe causato l’interruzione del rapporto con il figlio, hanno continuato per anni a sottostare alle sue richieste. Una storia di vera e propria tortura psicologica in cui, secondo gli inquirenti, l’arrestato ha fatto vivere per anni i due anziani in un clima di paura, intimidazione e sofferenza.

La lupara bianca – In realtà, il figlio della coppia, Domenico Pelleriti, nel 1993 è rimasto vittima della lupara bianca, per mano della mafia barcellonese. Scomparso da Basicò (Messina) nel marzo di quell’anno, il corpo di Pelleriti non è mai stato ritrovato. Sul delitto ha fatto luce recentemente l’indagine denominata “Gotha VI” effettuata dai carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del Ros di Messina. Secondo quanto raccontato dai pentiti della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, il giovane, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, sarebbe stato coinvolto in un giro di ladri d’auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti a un commerciante che pagava il pizzo all’associazione mafiosa. I capi della “famiglia” barcellonese, non tollerando che la loro autorità venisse messa in discussione, decisero di ucciderlo insieme al complice. Portato in un casolare con un tranello, venne torturato per fargli confessare il furto. Poi, dopo essere stato condotto a una fossa che era stata scavata per lui, venne ucciso con due colpi di pistola alla testa. Il cadavere venne poi seppellito in un agrumeto, ma le ricerche svolte a distanza ormai di anni dal delitto non hanno consentito di recuperarne il corpo. Nel tempo il terreno è stato disboscato e spianato con escavatori che potrebbero avere disperso i resti.