Ci risiamo. Il ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia, approvato alla Camera lo scorso novembre e rimasto fermo per mesi alla Commissione Giustizia a causa dell’ostruzionismo dei partiti di destra, il 14 luglio è finalmente approdato alla discussione in Senato. Ma, come prevedibile, la destra è tornata all’attacco a colpi di emendamenti e interventi in Aula, con lo scopo di modificare il testo di legge per la quale ormai sembra probabile un rinvio a settembre, funzionale anche in vista della campagna elettorale per le amministrative. Non è di certo una novità: il Parlamento è un caro affezionato del cosiddetto filibustering e più volte nella storia della Repubblica i parlamentari italiani hanno dimostrato di essere maestri nell’ostacolare e rallentare gli iter legislativi, affinando con gli anni quella che è considerata una vera e propria arte.

Il filibustering – Cosa si intende per ostruzionismo parlamentare? Nient’altro che un metodo di lotta politica impiegato soprattutto dai gruppi di minoranza per impedire o ritardare l’approvazione dei provvedimenti della maggioranza. Le modalità sono varie e talvolta al limite della legittimità. L’ostruzionismo tecnico, condotto nel pieno rispetto formale del regolamento delle Aule (anzi sfruttandone ogni cavillo), si caratterizza soprattutto per i numerosi e lunghissimi interventi, per la presentazione di una gran quantità di emendamenti e ordini del giorno, come di sospensive e pregiudiziali, per le frequenti richieste di verifica del numero legale. Quando invece i parlamentari ricorrono a metodi meno ortodossi, come interruzioni ingiustificate, rumori, tumulti e persino violenza, si parla di ostruzionismo fisico.

Intervento di Marco Pannella

L’epoca d’oro – Antico quanto le assemblee, reso popolare in Europa dalla Camera dei Comuni inglese alla fine del ‘700 e importato in Italia dai socialisti nel 1899, l’ostruzionismo nostrano ha vissuto il suo periodo d’oro durante la Prima Repubblica, quando con innegabile abilità e ostinazione i parlamentari italiani si lanciavano in sermoni interminabili che richiedevano ore di studio e, soprattutto, resistenza. Sì, perché le regole erano ferree: non solo era d’obbligo andare a braccio e restare in argomento, ma bisognava parlare in piedi senza appoggiarsi al banco, sempre rivolti verso il presidente dell’Aula. Tassativo il divieto di andare in bagno, mangiare o bere qualcosa che non fosse acqua. I primi a ricorrere in dosi massicce al filibustering furono i comunisti, che nel 1949 si opposero all’adesione dell’Italia alla Nato e si distinsero sia per l’oratoria che per la “forza bruta”. Il dibattito durò «tre giorni e tre notti» tra polemiche, insulti, colluttazioni e corpo a corpo tra i senatori. La stagione era stata inaugurata: una nuova mobilitazione dei gruppi di sinistra ci fu nel 1951 contro i provvedimenti sulla difesa civile presentati dal ministro degli Interni Mario Scelba, seguita dalla storica battaglia alla “Legge Truffa” del 1953. Contro la nuova legge elettorale di tipo maggioritario l’opposizione presentò 1.600 emendamenti e la discussione degenerò in veri e propri scontri tra i banchi del Senato. Ma l’ostruzionismo non è stato monopolio delle sinistre: gli anni ’60 videro scendere in campo il Movimento Sociale Italiano, la cui storia politica si intreccerà spesso con le proteste parlamentari più vivaci. La sua arma migliore il leader missino Giorgio Almirante, che guadagnò il soprannome di “vescica di ferro” in seguito al suo intervento di 10 ore contro la legge sull’ordinamento regionale del 1970. Nemmeno Democrazia Cristiana disdegnò l’ostruzionismo, praticato pesantemente in occasione della legge sul divorzio – motivo di vanto per Andreotti aver ritardato l’approvazione per ben sei mesi – e quella sull’aborto. Ma la vera storia del filibustering all’italiana l’ha fatta il Partito Radicale a partire dalla fine degli anni ‘70: non si contano le leggi che gli uomini di Marco Pannella riuscirono a bloccare, emendare, ritardare grazie alla loro esemplare opposizione oratoria e alla conoscenza puntigliosa dei regolamenti parlamentari. L’episodio più clamoroso fu nel 1981, durante la discussione di una legge che riguardava il fermo prolungato da parte della polizia: in una seduta durata complessivamente 161 ore, il deputato radicale Marco Boato stabilì un record parlando per 18 ore e 5 minuti consecutive, battendo il compagno di partito Massimo Teodori, che l’aveva preceduto con un discorso di 16 ore e 20 minuti.

Battuta d’arresto – Fu proprio l’intervento di Boato a spingere la Presidente della Camera Nilde Iotti a chiedere una modifica dei regolamenti parlamentari che imposero un tempo massimo di 45 minuti per ogni oratore nel corso della discussione e di 10 minuti per illustrare le dichiarazioni di voto. Anche lo strumento degli emendamenti fu “indebolito”, dando la possibilità ai presidenti delle Aule di raggruppare gli emendamenti molto simili tra loro e farli votare in blocco (il cosiddetto “canguro”). Le correzioni alle norme parlamentari degli anni successivi confermarono la direzione presa nel 1981, rendendo l’attività ostruzionistica molto più difficile. L’ultima fiammata nel 1984, quando per opporsi alla conversione del decreto craxiano che riduceva la scala mobile, il Pci applaudì ogni proprio intervento fino a spellarsi i palmi delle mani.

Ostruzionismo 2.0 – Ma se rallentare i lavori parlamentari con interventi fiume e applausi estenuanti è diventato pressoché impossibile, i politici non hanno smesso di fare ostruzionismo, adottando negli anni strategie ben più noiose, fatte di raffiche di emendamenti e richieste di verifica del numero legale. Non smettendo comunque di sfornare campioni della disciplina: il senatore leghista Luigi Peruzzotti, soprannominato “Ostruzionix“, tra il 1996 e il 2001 ha presentato 4.000 richieste di verifica, mentre il suo compagno di partito Roberto Calderoli nel 2015 si è opposto al ddl Boschi con 85 milioni di emendamenti, sfruttando un algoritmo che agisce su minime sostituzioni di termini e punteggiatura.