Le due facce della protesta. Prima quella che si è espressa con il voto all’outsider, poi quella di chi nell’outsider non si riconosce. L’America è spaccata. Dopo l’Election day, in tutti gli Stati Uniti migliaia di manifestanti sono scesi in strada al grido di “Not our president”, “Non è il nostro presidente”.

Le proteste – L’elezione di Donald Trump ha scatenato cortei spontanei a Dallas, Oakland, Boston, Chicago, Seattle, Washington. E ancora: in California, Massachusetts e Pennsylvania. Per lo più si è trattato di manifestazioni pacifiche, anche se le tensioni non sono mancate. A New York, dove i manifestanti hanno marciato fino alla Trump Tower – residenza del nuovo presidente – ci sono stati almeno 30 arresti. Il traffico è rimasto paralizzato per diverse ore. Una bandiera americana è stata bruciata davanti all’ingresso della torre del tycoon sulla Fifth Avenue, nel cuore della metropoli. Una delle proteste più dure e partecipate è stata quella di Los Angeles, dove hanno sfilato in migliaia e dove a essere bruciato è stato un fantoccio della testa di Donald Trump. Anche qui i protestanti hanno bloccato un’arteria del traffico, l’autostrada 101, causando code per chilometri. Nella città californiana la polizia ha arrestato 13 persone. A Chicago, dove si è assistito a un’altra imponente protesta, in centinaia si sono radunati sotto il Trump International Hotel per gridare: “No Trump, no Ku Klux Klan, no racism in Usa”.

I motivi – Non sono bastate le parole di Hillary Clinton dopo la sconfitta, pronunciate dal quartier generale al New Yorker Hotel di Manhattan. Lei che non faceva segreto della sua delusione ma che chiedeva ai suoi sostenitori di accettare il risultato e dare la possibilità al nuovo presidente di governare. Metà America sembra non rassegnarsi alla nomina di Trump. Le migliaia di persone che sono scese in piazza nelle ore scorse lo hanno fatto per combattere ancora una volta gli argomenti della campagna elettorale del tycoon. I cartelli fatti sfilare ieri sera dicevano ‘no’ all’odio, al razzismo e alla misogina che Trump ha espresso nei mesi scorsi. Sono scese in strada anche le celebrità che avevano pubblicamente dato il loro sostegno alla candidata democratica. Fra queste, Lady Gaga ha sfilato con una maglietta con il gioco di parole “Love Trumps Hate”, l’amore trionfa sull’odio.

Megafono – I social network, e in particolare Twitter, si sono rivelati ancora una volta uno straordinario megafono della protesta. Se dunque prima lo erano stati per Donald Trump e per i suoi irriverenti e politicamente scorretti messaggi in campagna elettorale, nelle scorse ore lo sono stati per gli americani che ancora non si riconoscono nel nuovo presidente, e che sono scesi in piazza per dirlo a gran voce. Gli hashtag su cui la protesta ha viaggiato sono stati dunque #protests ma, soprattutto, #NotMyPresident, che più di ogni altro ha catalizzato il malumore dei cittadini colti di sorpresa da un’elezione che in pochi avevano previsto.