«L’essere umano è capace di fare cose drammatiche senza avere un disturbo psichico. Non è malattia, è soltanto malvagità.»
Queste le parole pronunciate l’11 novembre dalla pm Alessia Menegazzo concludendo la sua requisitoria nel corso del processo per omicidio pluriaggravato a carico di Alessandro Impagnatiello. L’ex barman è accusato di aver ucciso con 37 coltellate, nel maggio 2023 a Senago, in provincia di Milano, la fidanzata Giulia Tramontano. Le accuse sono di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà e dai futili motivi. L’imputato dovrà anche rispondere di occultamento di cadavere e di interruzione di gravidanza non consensuale. La ventinovenne, che precedentemente Impagnatiello aveva cercato di avvelenare con un topicida, era incinta da sette mesi. Il movente sarebbe stato, ha aggiunto la pm, quello di rimuovere un «ostacolo alla sua realizzazione personale» e alla sua relazione extraconiugale con una collega, la 23enne italo-inglese Allegra Cerea.
Nel corridoio antistante la Corte d’assise del tribunale di Milano, i neogiudici sono chiamati a prestare giuramento. Una giovane donna vestita di rosso pronuncia il suo, con la voce colma di emozioni gioiose. Percorrere qualche centinaio di metri e ascoltare le accuse rivolte a un «bugiardo senza scrupoli», che «ha provato a manipolarci tutti» è un passaggio stridente. Impagnatiello è impassibile, tiene lo sguardo fisso davanti a sé e pare quasi annoiarsi: talvolta sospira profondamente, tenendo le braccia incrociate. Non sembra «schiacciato dai sensi di colpa», come lo dipingono le avvocatesse che lo difendono.
L’aula è affollata, moltissime sono le ragazze che potrebbero essere amiche di Giulia. Di fronte alla giudice Antonella Bertoja, la famiglia della vittima è al completo: sono tutti seduti in prima fila, si stringono a vicenda per farsi forza. Tuttavia, nessuno piange. Mantengono la testa alta in ascolto della pm, che racconta un vero e proprio «viaggio nell’orrore».
Tutto comincia a fine 2022, quando la vittima dichiara di aspettare un bambino che il fidanzato non vuole. In quel momento, sempre secondo la Menegazzo, «Giulia ha firmato la propria condanna a morte». A questo punto inizia «il progetto mortale» di Impagnatiello, che inizia a somministrare alla compagna veleno per topi, ammoniaca e cloroformio, come accertato dalle analisi del medico legale. Tutto documentato dalle ricerche web di Impagnatiello, che avrebbe mentito e ritrattato continuamente fino a quando non si è trovato con le spalle al muro. Si tratta, sostiene l’accusa, di una sequela di menzogne: che il figlio non fosse suo, che Giulia tentasse di suicidarsi in quanto affetta da depressione. Ancora, avrebbe cercato di inscenare il suo suicidio e «la scomparsa per allontanamento volontario», come a sottrargli un figlio che non ha mai desiderato. Insomma, l’immagine che emerge sembrerebbe concorde con ciò che ha dichiarato la pm Menegazzo, confermata dalle perizie psichiatriche: il profilo di un uomo freddo e calcolatore, con tratti psicopatici e manipolatori. Questi ultimi devono essere stati notati, almeno parzialmente, anche dalla Cerea che infine aveva deciso di avvisare Giulia. «Volevo aiutarla, farle capire cosa stava succedendo». A poche ore dal loro incontro il tragico epilogo: l’agguato nell’appartamento di Senago e le coltellate sferrate alle spalle. Non sono stati rinvenute lesioni da difesa da parte della donna, colta alla sprovvista.

Sul finire della requisitoria, che chiude con la richiesta di ergastolo a cui si aggiungerebbero altri otto anni di reclusione (di cui 18 mesi in isolamento diurno), si vede Impagnatiello tendere i muscoli della mascella e far oscillare nervosamente la gamba. Forse osserva cadere, una volta per tutte, il castello di bugie da lui costruite. Gli avvovcati della diffesa sottolineano la sua «condotta grossolana che mal si concilia con l’immagine da pianificatore», eppure gli elementi esposti in precedenza appaiono schiaccianti. Il 25 novembre, nella simbolica data della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, verrà emessa la sentenza che chiuderà il processo in primo grado.