Steve Witkoff e Jared Kushner hanno avuto «l’impressione» che Vladimir Putin voglia «mettere fine alla guerra». Sono tutte un “forse” le affermazioni del presidente americano Donald Trump, incerto lui stesso se annunciare il fallimento o ostentare (bugiardo) ottimismo in merito ai colloqui di pace di Mosca del 2 dicembre. Al presidente russo invece va bene così, «sono stati molto utili» visto che tramite negoziati vuole ottenere ciò che non gli è riuscito sul campo. Continui tentativi di dialoghi di pace che non si traducono però in una tregua. «L’impressione» della popolazione ucraina è infatti ben diversa rispetto ai toni trumpiani. La scorsa notte, tra il 3 e il 4 dicembre, i cittadini di Odessa, Kryvyi Rih e dei sobborghi di Kharkiv si sono svegliati sotto una pioggia di droni. I raid hanno ucciso due persone: un bambino di sei anni e un adulto, lasciando al buio la città di Odessa.
Niente incontro a Bruxelles – A Kiev e dintorni, in pochi avevano creduto che la trattativa in corso a Mosca potesse essere risolutiva. Ieri, però, anche i più ottimisti hanno constatato l’errore, dopo che l’incontro a Bruxelles tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il duo Witkoff-Kushner è saltato. Se questo è un brutto segnale per Kiev, a Mosca sorridono. Putin, in vista del viaggio in India, ha rilasciato un’intervista alla tv India Today. «Lavorare sul piano di pace per l’Ucraina è difficile», ha insistito, rimarcando però l’impegno degli Stati Uniti. «Washington ha proposto di suddividere il piano di 28 punti in quattro pacchetti separati». Le pretese russe sono semplici quanto brutali: «Libereremo i territori del Donbass e della ‘Nuova Russia’ con la forza, oppure le truppe ucraine lasceranno questi territori e smetteranno di combattere».
La strategia di Putin – Visto che sul campo l’impresa di riconquista russa fallisce da tre anni, a Putin non resta che corteggiare Trump: «Il presidente Trump sta cercando sinceramente di trovare una soluzione consensuale al problema ucraino, ne sono certo». Tutto ruota intorno ai territori dell’oblast di Donetsk, lo ha confermato alla Tass anche il consigliere presidenziale russo per la politica estera, Yuri Ushakov: «È il punto chiave. L’argomento è stato discusso tra noi e gli inviati americani». In un contesto di questo genere, l’interesse a continuare a dialogare è tutto dalla parte del Cremlino, che cercherà di strappare terre non conquistate al tavolo delle trattative.
Per fare questo, Ushakov e colleghi devono convincere giorno dopo giorno Trump, nonostante i pochi progressi, a tenere il telefono acceso. La tattica è quella di mostrarsi volenterosi e aperti a concessioni. Il consigliere di Putin è già nella parte: «La Russia è aperta al dialogo sull’Ucraina anche con i Paesi europei, ed è pronta a ricevere a Mosca anche leader di questi Paesi, ma loro rifiutano tutti i contatti». In Unione, in effetti, pochi avrebbero il coraggio di varcare le porte del Cremlino. Qualsiasi leader rischierebbe una pioggia di critiche se le parti (Russia certamente, Stati Uniti in parte) dovessero essere orientate alla cessione dei territori. Il mantenimento di una linea di contatto è comunque un segnale positivo. «È un bene che il processo di pace sia in corso» ha sottolineato il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ricordando però come «se non si saranno risultati è essenziale che le armi continuino ad arrivare in Ucraina, come sta accadendo oggi».
Le azioni dell’Unione europea – Colei che sarebbe bandita dai tavoli moscovita è di certo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Ieri, nella giornata dedicata all’incontro con tutti i commissari, ha annunciato la chiusura (questa volta definitiva) del mercato europeo al gas russo, oltre che il nuovo pacchetto di aiuti a Kiev. L’idea è fornire 90 miliardi attraverso il debito pubblico europeo che gli ucraini restituiranno attraverso gli asset russi congelati in Europa. Il voto su questa manovra, molto dispendiosa per le casse dei 27 Stati membri, arriverà il 18 dicembre in sede di Consiglio Europeo.




