Le grandi dimissioni non sono solo un problema delle multinazionali, ma anche delle aziende sanitarie italiane. Uno smottamento che è diventato valanga: se nel 2022 sette medici lasciavano il posto di lavoro ogni giorno, a metà del 2023 sono diventati dieci. Lo rivela uno studio condotto da Anaao Assomed, l’associazione dei medici dirigenti.
Il dato non stupisce. Nella testimonianza raccolta da Il Messaggero, un medico napoletano che vuole restare anonimo racconta il dramma del burnout: «Non dormo, sono nervoso, sono sotto stress, sono stato costretto a denunciare i parenti di un paziente che mi hanno aggredito, sto trascurando la famiglia. Quantro posso resistere in queste condizioni?».
Nel mentre si accende lo scontro fra il ministero della Salute e il resto della sanità. Il ministro Orazio Schillaci si intitola il merito di avere portato i problemi del personale sanitario al centro dell’agenda di governo. Ma Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, punta il dito contro la politica: «Per rilanciare la sanità pubblica ci vuole che qualcuno abbia l’idea di come si fa».

Gioventù medica bruciata – Il rapporto pubblicato da Fadoi, l’associazione dei medici internisti, rivela dati preoccupanti: il 52% dei medici in corsia e 45% degli infermieri soffrono di sindrome da burnout, cioè all’esaurimento delle energie psico-fisiche associato a disturbi d’ansia ma anche a depressione. Metà dei medici in burnout rivela di considerare il licenziamento per fuggire dalla sindrome da stress. Sempre Fadoi, in collaborazione con la John Hopkins University e la Mayo Clinic del Minnesota, hanno stimato il numero di errori medici che potrebbero essere stati causati dai medici sovraffaticati: sono più di centomila.
Dario Manfellotto, presidente di Fadoi, individua tre possibili variabili: il personale sanitario che invecchia, lo stress post-pandemico e un carico sempre maggiore di pazienti che devono essere gestiti ogni giorno da meno medici. A pesare c’è sicuramente la situazione dei cosoddetti “gettonisti”: in molti abbandonano il servizio sanitario pubblico per tornare nello stesso ruolo tramite cooperative, venendo così pagati ogni giorno più di quanto non lo siano tramite il SSN. Non solo: molti medici lasciano la sanità italiana per andare a lavorare all’estero, dove le retribuzioni sono più alte.
Anche dal personale non medico arriva l’allarme. Barbara Mangiacavalli, presidente dell’associazione di infermieri Fnopi, rivela che entro dieci anni lasceranno il servizio in centomila.

La replica – Sulle difficoltà del personale sanitario si è espresso il ministro Schillaci dal congresso organizzato da Fadoi. «L’impegno è quello di riuscire a far sì che tutto il nostro personale sanitario si senta gratificato nella sua professionalità», assicura il ministro, «e che nessun medico, infermiere, operatore sociosanitario si senta sopraffatto dallo stress». «Occorre rendere più attrattivo il Servizio sanitario nazionale intervenendo sulla riorganizzazione dei modelli e a un miglior utilizzo dei posti letto», ha aggiunto.
L’attrattiva del SSN passa attraverso la retribuzione, secondo il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi: «Se i nostri medici guadagnano un terzo dei medici tedeschi, non si può pretendere che si laureino e poi stiano qui, non vadano in Svizzera, in Germania». Aggiunge anche che il problema sta nella gestione delle liste di attesa nel servizio pubblico, che però vengono evase dagli stessi medici che operano anche nel settore privato. «Andiamo verso una sanità dove si paga per ottenere una prestazione. E si paga anche nella struttura pubblica: questa è una cosa scandalosa».