“Yes we can”. Uno slogan ormai entrato nel gergo comune e nella memoria collettiva. Un motto che è diventato iconico, simbolo della rivalsa delle minoranze nere e latine negli Usa. Alla fine Barack Obama a vincere è riuscito davvero, trascinando milioni di latinos e afroamericani a votare per lui. La sua elezione nel 2008 è stata accolta con entusiasmo dai media internazionali. Per la prima volta nello studio ovale della Casa Bianca si sarebbe seduto un inquilino di colore. L’immagine che Obama dava di sé era di un presidente giovane (e giovanile), attento ai cambiamenti e ai problemi sociali del Paese. Niente a che vedere, insomma, con il vecchio establishment repubblicano targato George W. Bush, duramente criticato negli ultimi anni del suo mandato per la condotta delle infinite guerre in Afghanistan e Iraq. Tutto bene nel primo anno di mandato tanto che il 9 ottobre 2009 il giovane presidente riceve il Nobel per la pace. “Per il suo straordinario impegno per rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i popoli”, recita la motivazione dei giudici di Oslo.Eppure, a otto anni dal suo trasferimento alla Casa Bianca, le promesse di cambiare il Paese appaiono sbiadite o almeno non completamente mantenute. A inizio 2016 il Wall Street Journal ha tracciato un bilancio dei primi sette anni della presidenza Obama. Secondo il quotidiano su 101 temi presi in considerazione, 34 sono obiettivi pienamente raggiunti, così come quelli falliti (i restanti sono ancora in discussione). Insomma un bilancio in pareggio.

Cosa ha funzionato

vittoria-obamaPartiamo dagli interni. La sfida più grande di Obama è stata l’approvazione del Patient protection and affordable care act, meglio conosciuto come Obamacare, ossia la riforma sanitaria per allargare l’accesso alle cure ospedaliere a quanti più cittadini possibile a costi contenuti. Approvata con difficoltà nel 2010, la riforma ha diminuito il numero di persone che non avevano una copertura sanitaria: dai 42 milioni prima dell’ottobre 2013 si è arrivati ai 28,9 del 2015. In tutto sono stati 31 milioni gli Americani interessati, a vario titolo, dalla riforma di Obama.
Ma le sovvenzioni dei singoli Stati rischiano di essere vanificate da un aumento esponenziale e incontrollato dei prezzi dei farmaci. La società di assicurazione Coface ha previsto che a fine 2016 i medicinali negli Usa aumenteranno del 9,3%, mantenendo il trend al rialzo già visto nel 2014 (+8,5%) e nel 2015 (+7,2%). Alcuni farmaci hanno addirittura toccato aumenti del 5 mila per cento. Un problema non da poco, visto che tre persone indebitate su cinque lo sono a causa delle spese sanitarie. Jonathan Oberlander, dell’Università della California, in un editoriale su The New England Journal of Medicine ha scritto che il sistema americano è rimasto frammentato, iniquo, costoso, orientato al profitto e sprecone. C’è ancora molto da fare, ma rimane il fatto che Obama ha iniziato a scardinare il costoso apparato privatistico che finora ha caratterizzato il sistema sanitario Usa.
Altra medaglia per Obama è la questione dei matrimoni gay. Dal 26 giugno 2015 le nozze tra persone dello stesso sesso sono regolamentate e previste per legge. Il merito di Obama non è stato solo quello di aver legalizzato le unioni tra omosessuali, ma anche e soprattutto quello di aver strappato ai singoli Stati la decisione in materia.
In politica estera sono due i fattori da tenere in considerazione. Il disgelo con Cuba nel 2015, con la fine dell’embargo contro l’isola caraibica e l’apertura del mercato dell’ Avana per gli investimenti statunitensi, e l’accordo sul nucleare con l’Iran, altro mercato potenzialmente profittevole per l’Occidente. Da annotare anche l’uccisione di Osama Bin Laden nel compound di Abbotabad, nella periferia di Islamabad in Pakistan, avvenuta poco prima della scadenza del primo mandato.

Cosa non ha funzionato

Raul Castro e Barack Obama

Raul Castro e Barack Obama

Sempre restando in politica interna, secondo gli esperti e gli analisti, Obama ha fallito nei confronti delle lobby. È venuta a mancare la promessa rimozione delle agevolazioni fiscali per le compagnie petrolifere, così come una riforma organica sul versante fiscale. Per non parlare poi di quello dell’immigrazione. Rispetto ai suoi due predecessori, Bush e Clinton, e a dispetto delle promesse, Obama è stato il presidente che ha ordinato più respingimenti ai confini.
Per quanto riguarda la politica estera, Obama non è stato all’altezza del Nobel del 2009. Alla fine dei conti, non è stato in grado di distanziarsi dalla politica militarista di Bush, trascinando gli Usa in due nuove guerre e non riuscendo a concludere le due già avviate. Su di lui (senza dimenticare Francia e Inghilterra), pesa l’intervento in Libia (con la mancanza di un progetto per il post-Gheddafi ), l’intervento poco convinto convincente in Siria contro lo Stato Islamico e il ritiro solo parziale da Afghanistan e Iraq, dove si continua a combattere da quasi quindici anni. Il discorso a Il Cairo in cui nel 2009 Obama prometteva che non avrebbe esportato la democrazia “con le bombe” si è infranto contro la realtà dei fatti. Altra promessa non mantenuta è stata la chiusura della prigione di Guantanamo. Fu un pilastro della sua campagna elettorale nel 2008 ma i prigionieri in tuta arancione sono ancora lì.

 

Alessio Chiodi