Michael Bloomberg dice addio al sogno presidenziale, appoggerà il democratico Joe Biden. L’ex sindaco di New York ha deciso di ritirare la sua candidatura dopo i risultati negativi del Super Tuesday. I soldi non sono riusciti a garantirgli una prospettiva di vittoria. «Me ne vado per sconfiggere Donald Trump» ha detto il miliardario 78enne che ora sarà dalla parte di «un amico e un grande americano onesto» Ossia Biden, fino a poco fa suo avversario, uscito trionfante dal “Supermartedì» delle primarie democratiche.
La debàcle – Bloomberg si era candidato alle primarie dem solamente sei mesi fa, in ritardo rispetto all’ex vice di Obama Joe Biden, al senatore del Vermont Bernie Sanders, alla giurista del Massachussetts Elizabeth Warren, alla senatrice del Minnesota Amy Klobuchar e all’ex sindaco di South Bend in Indiana Pete Buttigieg (che sembrava una promessa ma che ha deciso di ritirarsi ancor prima del “Supermartedì” per i risultati non soddisfacenti della sfida in South Carolina). Dopo aver speso più di 570 milioni di dollari in spot televisivi per cercare di raggiungere i livelli di popolarità dei suoi “colleghi”, Bloomberg ha dovuto gettare la spugna. Il suo impegno (non solo economico) non è bastato, il numero di delegati ottenuti non è stato sufficiente per continuare la corsa: solo 53. Solo le piccole isole Samoa hanno creduto nel magnate dei media, dandogli la metà dei voti.
I commenti – Oltre al danno la beffa: Donald Trump non ha perso tempo e ha commentato subito la sconfitta con un tweet. «Il vero perdente della serata è di gran lunga mini Mike Bloomberg. 700 milioni di dollari buttati via per niente: le uniche cose che ha ottenuto sono il soprannome mini Mike e la totale distruzione della sua reputazione. L’esperienza più imbarazzante della sua vita». Il tycoon non ha perso l’occasione per commentare anche il tonfo di Warren (che al momento non si è ancora ritirata): «Elizabeth “Pocahontas” Warren è l’altra perdente della serata. Non è arrivata nemmeno vicino a una vittoria nel suo stato, il Massachusetts. Beh, ora può sedersi insieme al marito e bersi una birra fresca».
Mini Mike, “Three months ago I entered the race for President to defeat Donald Trump, (and I failed miserably!).
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) March 4, 2020
I vincitori – Sleepy Joe – così come è stato soprannominato Biden per la sua “dormiente” scalata alle presidenziali – si è risvegliato dalle ceneri e con fare spumeggiante ha dichiarato: «Non lo chiamano Super Tuesday per niente». Fino a qualche giorno prima del fatidico martedì Biden non era considerato un possibile vincitore e invece ha ottenuto ben 10 Stati su 14 e 566 delegati. Un cambio di prospettiva ottenuto grazie all’appoggio degli afroamericani degli stati del Sud, senza contare la vittoria su Warren in Massachussetts e quella dei sobborghi urbani della Virginia. Nel comitato elettorale di Biden ora si brinda all’addio di Bloomberg, il cui sostegno, già dichiarato pubblicamente, resta comunque necessario per riuscire ad arrivare in fondo alla prima parte della scalata alla Casa Bianca. Dall’altra parte il socialista Bernie Sanders ha portato a casa solo quattro Stati, ma uno di questi è la preziosa California, stato con molti abitanti e quindi più delegati da eleggere e portare alla Conventon democratica di Milwaukee. L’abuelito (il nonnino, così lo chiamano i latinos californiani, Sanders è del 1941) lancia un guanto di sfida a Biden: «È una persona perbene, ma abbiamo visioni diverse del futuro e spero che ci potremo confrontare in futuro nei dibattiti. Deve spiegare molte cose agli elettori».
Battaglia aperta – La strada per il 3 novembre, deadline delle presidenziali, è ancora lunga. Ci sono ancora stati che devono votare i loro candidati. Per i Democratici la convention finale del partito sarà dal 13 al 16 luglio mentre per i Repubblicani (al momento hanno un unico candidato, ossia il presidente uscente che ha vinto 13 Stati su 13 e punta al secondo mandato) sarà il 18 luglio. L’obiettivo comune di tutti i democratici infatti è proprio – e sempre – quello di battere The Donald. Magari, sperano, grazie ai soldi di Bloomberg (ma senza di lui) l’America cambierà colore.