«È essenziale che si parli di fine vita e dei diritti della gente che soffre, per questo mi sono denunciato io stesso». Ha detto così Marco Cappato, esponente del partito radicale, imputato nel processo che è iniziato mercoledì 8 novembre presso la Corte d’Assise del tribunale di Milano. Cappato è accusato di «aiuto al suicidio» e rischia una pena che oscilla tra i 5 e i 12 anni (qui un riepilogo della vicenda).
Capo d’imputazione e fatti- L’atmosfera è tesa e nemmeno la vicinanza dei suoi legali, Francesco di Paola e Massimo Rossi, sembra tranquillizzare l’imputato. Tutti scattano e si alzano quando entra la giuria, composta da due giudici togati presieduti da Ilio Mannucci Pacini e sei popolari. C’è grande attesa e la presenza massiccia di cronisti e telecamere fa capire l’attenzione mediatica sul caso. Il capo d’imputazione, che fa riferimento all’articolo 508 del codice penale, parla di «aiuto al suicidio in qualsiasi sua forma». È questa l’accusa rivolta al tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, un ente no profit di promozione sociale, che ha aiutato Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, a raggiungere la clinica svizzera Dignitas dove ha potuto accedere al suicidio assistito. L’uomo era cieco e tetraplegico da quasi tre anni a seguito di un grave incidente stradale. L’accusa rivolta a Cappato sarebbe proprio quella di aver fornito alla famiglia Antoniani materiale informativo e di aver agevolato il trasporto del dj fino in Svizzera aiutandolo nelle sue volontà «suicidarie».
Video – L’udienza prosegue e il presidente annuncia quali materiali saranno esaminati. Non solo esami medici, ma tra gli atti acquisiti in sede dibattimentale c’è anche un video shock realizzato dalla trasmissione televisiva Le Iene, che mostra le sofferenze dell’uomo negli ultimi mesi di vita. Il filmato, in versione integrale, verrà proiettato nelle prossime due udienze, fissate per il 4 e 13 dicembre. Il motivo della richiesta dei pm, Tiziana Siciliano e Sara Arduini, è il voler documentare la lunga agonia a cui sarebbe andato incontro Fabiano Antoniani senza il supporto medico-farmacologico ricevuto nella clinica svizzera dove è morto il 27 febbraio scorso. Alla volontà dei pm si sono associati i due difensori di Cappato che hanno richiesto di ascoltare la testimonianza della compagna di Dj Fabo, del medico anestesista Marco Riccio e del giornalista che ha realizzato il servizio, Giulio Golia.
«Più diritti» – Dopo meno di un’ora l’udienza è conclusa e Cappato ha risposto alle domande dei giornalisti. Nonostante non voglia pronunciarsi sull’esito del processo ha affermato: «Voglio battermi per avere più diritti. Questa è un’occasione pubblica di verificare per chi soffre e per i malati terminali quali sono i diritti nella scelta di interruzione della vita, ma anche, per chi vuole, di continuarla».

Da sinistra: gli avvocati Massimo Rossi e Francesco di Paola e Marco Cappato
Il processo- Una lotta, quella di Marco Cappato, che è partita dalle associazioni, dagli ospedali per poi approdare nelle televisioni e ora in tribunale. A processo si è arrivati dopo un’autodenuncia e una prima richiesta di archiviazione da parte dei pm. Il gip Luigi Gargiulo, però, aveva respinto la richiesta ordinando l’imputazione coatta, ossia l’obbligo di andare a processo. Secondo il gip, non solo Cappato avrebbe aiutato Antoniani a morire ma avrebbe anche rafforzato il suo «proposito di suicidio». Per la Procura, invece, avrebbe semplicemente aiutato una persona ad esercitare il diritto di morire con dignità. A seguito dell’imputazione coatta, Cappato ha scelto di andare direttamente a processo con rito immediato saltando l’udienza preliminare.
I presidi- «Non so cosa farà la politica, se la legge sarà pronta a breve o si dovrà aspettare la prossima legislatura. Non so nemmeno come andrà questo processo. Staremo a vedere» ha detto Cappato prima di uscire da Palazzo di Giustizia. «Non sono pentito, per questo mi sono “consegnato” alla giustizia» ha concluso. Nel frattempo, a sottolineare il forte interesse sulla questione, fuori dal tribunale ci sono due presidi ad aspettarlo. C’è chi sostiene i suoi stessi principi e la necessità di avere una legge che regolamenti il fine vita e lo supporta con slogan, striscioni e campagne social. Ma non manca chi dissente e lo addita come una figura diabolica perché va contro alle idee cristiane. Un’attenzione, su questo processo, mediatica ma non solo che testimonia l’importanza di questa battaglia. Comunque vada a finire.