Una vittoria prevedibile ma che segna un primato: alla chiusura dei tre giorni di elezioni presidenziali, Vladimir Putin è stato confermato presidente della Federazione Russa con più dell’87% dei voti. È il risultato più alto mai raggiunto nella storia della Russia, ottenuto grazie a un’affluenza di almeno il 73%, in aumento rispetto al 67,5% del 2018. Lo zar arriva così al suo quinto incarico presidenziale, anche grazie al referendum del 2020 con il quale riuscì a modificare la legge costituzionale che imponeva il limite di due mandati consecutivi al presidente. «Non importa quanto abbiano cercato di spaventarci, di sopprimere la nostra volontà, la nostra coscienza» ha detto Putin nel suo discorso post elettorale, «nessuno ci è mai riuscito nella storia. Hanno fallito ora e falliranno in futuro». A nulla sono servite le proteste dei sostenitori di Alexei Navalny, l’oppositore politico morto in carcere che, dopo la vittoria, Putin ha citato per la prima volta dopo mesi di silenzio.

Le proteste – Le elezioni presidenziali si sono svolte in un clima di tensione, alimentato da episodi di contestazione individuali e collettivi. Nonostante le intimidazioni delle autorità russe, che nei giorni prima delle elezioni hanno minacciato conseguenze penali per eventuali contestatori, una donna in un seggio di Mosca ha versato inchiostro verde nell’urna elettorale e ha urlato slogan pro Ucraina. Un’altra elettrice a San Pietroburgo ha lanciato una molotov contro il seggio allestito in una scuola. Non si tratta di episodi isolati: secondo il canale Telegram Nexta, i tentativi di incendio ai seggi sono stati 11 e le urne riempite di inchiostro 19. L’Ong Ovd-Info ha segnalato che durante le proteste per l’ultimo giorno delle elezioni si sono verificati almeno 74 arresti in tutta la Russia.

Mezzogiorno contro Putin – La principale forma di protesta pacifica è stata però quella del “Mezzogiorno contro Putin”, nata da un appello lanciato da Navalny prima di morire. Il dissidente aveva esortato i cittadini russi a recarsi in massa alle urne alle ore 12 dell’ultima giornata elettorale, per dimostrare, implicitamente, l’opposizione al regime. La contestazione silenziosa ha avuto adesione nei seggi di alcune città russe, ma è soprattutto nelle sedi del voto all’estero che si è registrata la maggiore partecipazione. Sotto l’ambasciata russa di Berlino, Yulia Navalnaya, in coda con gli elettori sostenitori del marito, ha dichiarato: «Sulla scheda ho scritto “Navalny”». Prima di andarsene, la donna ha definito Putin «un assassino e un gangster» e ha lanciato un appello: «Siate coraggiosi, un giorno, molto presto, vinceremo».

Alexey Navalny – Il fantasma di Navalny ha infestato i tre giorni di elezioni, tanto da affiorare anche nel discorso post elettorale di Putin, che ha citato il suo nome in pubblico dopo anni di silenzio. Lo zar ha definito la scomparsa del suo oppositore «un evento triste» e ha dichiarato di aver acconsentito, poco prima della sua morte, «a scambiare il signor Navalny con alcune persone che sono in prigione nei Paesi occidentali».

Reazioni – La risposta dei paesi occidentali ai risultati elettorali russi è stata di unanime disapprovazione. Il presidente ucraino Vlodimir Zelensky ha negato la legittimità delle elezioni e ha definito Putin «un malato di potere che vuole regnare in eterno». Sull’illegalità delle elezioni hanno concordato anche il ministro degli Esteri britannico Dave Cameron, gli omologhi francese, lettone e tedesco, insieme al governo Polacco. Il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, si è allineato ai colleghi esprimendo la sua disapprovazione in un post su X. Di diverso tono le dichiarazioni di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e leader della Lega: «In Russia hanno votato, ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione». Con Putin si sono invece congratulati il presidente nord coreano Kim Jong-un e il portavoce del ministero degli Esteri cinese. Il nuovo orizzonte del presidente russo si sposta ora alle prossime elezioni presidenziali del 2030, ma grazie al referendum del 2020 potrebbe continuare a governare fino al 2036.