Il 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale per introdurre in Italia l’elezione diretta del presidente del Consiglio (il cosiddetto “premierato”), a cui sarebbero dati più poteri rispetto a quelli attuali. Secondo Meloni questa riforma garantirebbe due grandi obiettivi, «il diritto dei cittadini a decidere da chi farsi governare» e «il principio per cui chi viene scelto dal popolo possa governare con un’orizzonte di legislatura». Attualmente al vaglio del Parlamento, la riforma entrerà in vigore solo al momento dello scioglimento delle camere successivo alla sua eventuale approvazione. Eccone i passaggi principali.

Elezione diretta – Il premier è eletto a suffragio universale diretto per la durata di cinque anni. Viene modificato l’attuale articolo 92 della Costituzione, che ne prevede la nomina da parte del presidente della Repubblica. A differenza di quanto previsto oggi, il capo del Governo deve essere per forza un parlamentare. Inoltre, le votazioni del premier e delle Camere avverranno tramite un’unica scheda elettorale: addio quindi alla doppia scheda per eleggere i componenti di ciascuna delle due Camere.

Il nuovo ruolo del Colle – Il presidente della Repubblica perderà il potere di nomina del premier ma avrà comunque la facoltà di scegliere, in caso di crisi di governo, il sostituto del presidente del Consiglio. Questa seconda figura dovrà però essere necessariamente un componente della maggioranza di governo e dovrà impegnarsi a mantenere il programma del premier uscente. Il capo dello Stato perderà inoltre la facoltà di sciogliere anche una sola delle camere (modifica dell’articolo 88 della Costituzione).

L’addio ai senatori a vita – È prevista la cancellazione del secondo comma dell’articolo 59, eliminando la possibilità per il presidente della Repubblica di nominare senatori a vita. Quelli attualmente in carica mantengono il loro incarico fino alla scadenza del mandato. Viene mantenuto Il laticlavio a vita resta per gli ex presidenti della Repubblica. Questa parte della riforma entrerebbe in vigore solo dalla prossima legislatura.

La norma “anti-ribaltone” – Viene imposta la nomina di un parlamentare della maggioranza in caso di sostituzione del presidente del Consiglio, per impedire che in futuro ci sia la formazione di governi tecnici o con altre maggioranze rispetto a quella che ha vinto le elezioni. Non si potranno avere più di due premier nel corso della stessa legislatura. Se anche al secondo tentativo non si riuscirà ad ottenere la fiducia del Parlamento, il presidente della Repubblica avrà la facoltà di sciogliere le Camere.

Il premio al 55% e le nuove soglie – Viene previsto un premio di maggioranza pari al 55 per cento dei seggi in Parlamento per la coalizione che esprime il presidente del Consiglio, per garantire maggiore stabilità al governo. Questo aspetto presuppone che ci sia una soglia minima per poter accedere al premio, anche se per ora non è stata indicata. Probabile anche una soglia d’ingresso in Parlamento, con i partiti più piccoli costretti a confluire in quelli maggiori per poter essere rappresentati.

Per poter essere vagliata, la riforma costituzionale ha bisogno che Camera e Senato la approvino due volte nel medesimo testo. Non basta più la maggioranza semplice delle due camere, come previsto per una normale legge. Se nella seconda votazione – a distanza di almeno tre mesi dalla prima – entrambe le camere approvano il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considera definitivamente approvata. Se invece nella seconda votazione si raggiunge solo la maggioranza assoluta, la riforma costituzionale può essere sottoposta a referendum popolare per confermarla.

Il testo del disegno di legge al momento non è ancora stato pubblicato. Il suo contenuto è stato riassunto dal governo in un comunicato stampa.