Milano, liceo classico “Tito Livio”, 7.40 di mattina. Gruppetti di ragazzi e ragazze fumano e chiacchierano, in attesa di varcare il cancello d’ingresso dopo vacanze natalizie in cui ai numeri della tombola si sono sostituiti, dentro al pallottoliere dell’ultimo decreto del governo, quelli del contagio che fanno scattare la didattica a distanza. Con un solo positivo per classe, obbligo di mascherina FFP2 e autosorveglianza, con due casi lezioni da remoto per chi non si è vaccinato o lo ha fatto da più di 120 giorni. Solo con tre casi viene sospesa per tutti l’attività in presenza per dieci giorni.
Ma per gli studenti confusione e incertezza non superano la voglia di tornare in classe, dal vivo. «Secondo me è giusto fare lezione in presenza anche se ci sono tanti casi. La situazione mi sembra meno grave rispetto all’anno scorso», afferma Luca, 16 anni, al terzo anno. «Il costo sociale della didattica a distanza in questo momento mi spaventa molto di più dei sintomi che mi può provocare il Covid», prosegue indicando Pietro, suo compagno di classe che annuisce convinto e aggiunge: «Bisogna salvare il salvabile, è giusto che chi non abbia un eccessivo numero di casi positivi in classe possa stare in presenza, è tutta un’altra cosa. Anche solo vedermi con lui prima di entrare mi fa vivere meglio la situazione. Non credo che sia la scuola il posto dove ti prendi il Covid».

Paese diviso – Gli studenti sembrano essere d’accordo con il governo. Ma se la necessità di fare lezione in presenza è, fin dal suo insediamento, un pilastro fondante dell’esecutivo guidato da Mario Draghi, non tutti i dirigenti scolastici, sindaci e governatori la pensano allo stesso modo. Secondo le stime di Tuttoscuola più di 200mila classi oggi hanno ripreso a distanza. Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, ha rinviato il rientro al 29 gennaio, in Sicilia è statio deciso un ritardo di tre giorni. Michele Emiliano (Puglia) ha detto che «è possibile per i genitori, qualora venga loro negata la dad, impugnare il provvedimento al Tar». Lo stesso Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Sanità Roberto Speranza, ha detto di condividere le preoccupazioni sulla riapertura. Anche perché sono ancora tanti i nodi da sciogliere: gestione del tracciamento, disponibilità di tamponi e mascherine ffp2 gratuiti per studenti e personale scolastico, numeri precisi riguardo classi in dad, dipendenti sospesi e persone in isolamento, affollamento sui mezzi di trasporto pubblico.

 

«Qui mi sento al sicuro» – Non manca però la preoccupazione. «È tutto un po’ confusionario», dice Elena, 16 anni. «Il sistema di regole non è infallibile, un solo asintomatico potrebbe contagiare tutti. Mia madre, che lavora in terapia intensiva, mi conferma che, nonostante la maggior parte dei pazienti non sia vaccinata, ci sono anche casi gravi di persone con tre dosi». «Io mi sento al sicuro. Abbiamo sempre le mascherine e le finestre aperte, il distanziamento è rispettato nei limiti del possibile», replica Leonardo, suo compagno di classe. «Per me il problema è un altro: non so quanto sia funzionale l’isolamento parziale della classe. Fare lezione diventa complicato: a chi deve dare retta il professore? Le istituzioni non capiscono cosa vuol dire andare a scuola».

Manzoni occupato – Sentimento, quello di abbandono da parte della politica, che è alla base della protesta degli sttudenti del vicino liceo classico “Alessandro Manzoni”. Questa mattina, 10 gennaio, i ragazzi e le ragazze si sono riuniti in assemblea e hanno deciso di occupare l’istituto. Frustrazione per il disinteresse dimostrato nei confronti della scuola in questi due anni di pandemia. Ma anche mancanza di dialogo con professori e dirigenza.