Milano è caldissima. Sarà a causa del cambiamento climatico? In parte si. D’altronde i dati registrati dalla Fondazione Osservatorio Meteorologico Milano Duomo lo confermano: le estati caldissime aumentano e gli inverni freddi diminuiscono. Un trend costante negli ultimi 12 anni. Ma c’è dell’altro: lo dicono architetti e ingegneri che danno la colpa al modello urbanistico della città troppo poco sostenibile per l’ambiente e le persone.
Il capoluogo lombardo, alla pari di molte altre città in Italia e nel mondo, si trasforma anno dopo anno in quella che viene definita «isola di calore cittadina»: una vera e propria serra in cui il riciclo d’aria è scarso o quasi nullo. A tal punto che la differenza media fra ambiente urbano e campagna è di 4°, dato che può salire a 10° nelle notti più asfissianti.
Record per le temperature – E’ quello che hanno sperimentato i milanesi sulla propria pelle alla fine del mese scorso che, con una temperatura media di 26.2°C, è stato il secondo giugno più caldo degli ultimi 123 anni, secondo solo a quello del 2003. Tra i giorni 27 e 28 a mezzanotte, le otto centraline di Fondazione OMD – Osservatorio Meteorologico Milano Duomo – installate in città hanno registrato temperature superiori ai 31°: 31.3 a Milano Bovisa, 31.4 a San Siro, 31.5 in Bicocca, 31.6 a Milano Sud, 32.3 a Città Studi, fino ad arrivare, nelle zone più centrali, ai 32.5 di Milano Bocconi e ai 32.6 delle stazioni Centro e Sarpi. Quest’ultima ondata di caldo si inserisce in una tendenza all’aumento registrata negli ultimi decenni. Mentre quella del giugno del 2003, spiega Fondazione OMD, può essere considerata un’anomalia tecnica, negli ultimi dieci anni tutti i mesi di giugno, ad eccezione del 2011, hanno chiuso con un valore medio più elevato di quello di riferimento (22.6°C la media dei trent’anni analizzati dalla World Meteorological Organization)
Come “funzionano” le città? – L’effetto “isola di calore” a Milano è figlio di una serie di elementi. Uno di questi è la quasi impossibilità per l’aria proveniente da fuori città di penetrare nel tessuto urbano. Le brezze vengono respinte dai palazzi e dalle colonne d’aria calda che si alzano dall’asfalto e dal cemento verso il cielo. Una volta in quota, l’aria calda si raffredda e ricade ai margini della città creando quella che viene definita cella convettiva, una forma di circolazione chiusa a forma di anello tra centro e periferia. Una bolla che intrappola anche l’inquinamento. Un altro fattore è l’assenza di verde cittadino. La presenza di alberi con chiome folte potrebbe impedire maggiormente all’asfalto di arroventarsi fino ai 60-70° che solitamente raggiunge per effetto del sole estivo. Dall’altra parte le foglie evaporando aiuterebbero a rinfrescare l’aria. Al tema del verde pubblico si lega quello delle pavimentazioni in cemento sempre più estese: superfici scure assorbono molto di più il calore che viene sprigionato nelle ore notturne. Ad alimentare il calore, infine, sono anche i climatizzatori che per darci sollievo sottraggono il calore dalle nostre case espellendolo all’esterno e contribuendo così ad aumentare la temperatura percepita.
«Urban forestry. Foresta urbana» – A Milano, nel quartiere Isola, svetta l’archetipo di una nuova generazione di edifici: il Bosco Verticale. L’attenzione al rapporto tra le città e la natura è diventato una prerogativa importante per lo sviluppo cittadino del futuro. Il Bosco Verticale è un complesso di edifici residenziali che vanno in altezza, a torre, con le facciate ricoperte di alberi e piante. Duemila essenze arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, oltre a rendere Isola un quartiere all’apparenza futuristico, incrementano la biodiversità vegetale e animale e mitigano il microclima di una zona ad alta concentrazione di cemento.
Il valore educativo – Ma può un solo complesso di edifici bastare a sensibilizzare le coscienze delle persone sul tema del cambiamento climatico? Sicuramente il Bosco Verticale è un esempio, non sempre facilmente replicabile, della direzione che dovrebbe prendere la progettazione delle città del domani. Per questo motivo, l’opera dell’architetto Stefano Boeri ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui quello per «il più bel grattacielo del mondo». Oltre l’estetica però c’è molto spesso l’etica. Boeri ha introdotto un concetto importante: la biodiversità in architettura. Un modo di pensare quindi da condividere con la società e non solo con gli esperti del settore.
Un manifesto e un piano pratico – A Milano si moltiplicano gli esempi di urbanistica «Green»: il quartiere City Life per esempio ha reso centrale l’importanza di creare un «grande pascolo a ovest della città», un nuovo parco cittadino fondamentale per alleviare gli effetti sul benessere delle persone dell’innalzamento delle temperature. Però, nell’anno che si appresta ad essere tra i più caldi degli ultimi anni, oltre a una coscienza ambientale comune, serve un piano. E così Boeri e i progettisti del Bosco Verticale hanno addirittura lanciato un manifesto che invita «architetti, urbanisti, botanici, agronomi, forestali, arboricoltori, paesaggisti, geografi, etologi, studiosi del paesaggio, tecnici, ricercatori ed esperti in cura del verde e forestazione urbana, operatori immobiliari, amministratori e rappresentanti delle istituzioni locali e della società civile, membri e rappresentanti di organizzazioni internazionali, di agenzie di finanziamento, di università e enti di ricerca e ONG», a considerare le città come il «problema» e la «soluzione» nella questione del cambiamento climatico.
ClimaMi – Sull’onda di questa iniziativa, Milano oggi può contare su diversi progetti che aspirano a migliorare la sostenibilità della città. Lo stesso Osservatorio Meteorologico Milano Duomo, nato dal lavoro di registrazione metereologica iniziata nel 1763 dal Padre Gesuita Lagrange, ha deciso di impegnarsi in modo da rendere concreta la necessità di finanziare un’edilizia sostenibile, implementare l’efficientamento energetico ma soprattutto per trovare un compromesso tra il benessere dei cittadini e il cambiamento climatico. Il Progetto ClimaMi, nato nel 2019 ha come obiettivo quello di creare una «climatologia urbana» che contribuisca a rendere centrale la considerazione del clima locale nelle attività lavorative pubbliche e private. Quindi razionalizzazione delle spese di progettazione e gestione, miglioramento delle tecnologie e uso consapevole dei materiali e degli spazi cittadini, sono solo alcune delle azioni che ingegneri, architetti e i professionisti dell’ambito urbano dovrebbero iniziare a condividere.
Un nuovo inizio – Da dove si comincia per cambiare? Dai dati. ClimaMi, attraverso l’uso di 20 stazioni meteo, vuole creare una mappatura climatica locale in grado di dare ad architetti e ingegneri i dati necessari per orientare la progettazione e la gestione del territorio nella direzione più resiliente per persone e ambiente. «Meno pavimentazioni urbane “bianche” che riflettono la luce e più pocket parks (aree verdi piccole e diffuse)», spiega la direttrice Cristina Lavecchia, «per consumare meno suolo ormai si punta a costruire in verticale, ma occorre progettare tenendo conto dell’impatto di forme e materiali sul clima locale». Le analisi degli accadimenti meteo climatici saranno usati per orientare le attività di progettazione e pianificazione territoriale in ambito urbano per gestire l’evento meteorologico senza subirlo. Prevenire è meglio che curare.