Torino, Salone Internazionale del Libro, giorno due. Il palinsesto è ricchissimo: da Luis Sepulveda, autore per bambini tra i più amati al mondo (chi non ha pianto per La gabbianella e il gatto?), al poeta e scrittore no tav Erri De Luca, dal neodirettore di Repubblica Carlo Verdelli al divulgatore e storico Alessandro Barbero. Il clima è frenetico e rilassato allo stesso tempo, l’ambiente culturale e i lettori più appassionati mettono a proprio agio gli autori. Quasi nessuno però ha dimenticato le tensioni di ieri e degli scorsi giorni sul versante Altaforte, la casa editrice vicina a Casapound allontanata dopo un aspro dibattito. Il primo a non mollare il colpo in tema di attacchi alla democrazia è il regista, attore e (adesso) scrittore Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif.

Al cuore delle polemiche – Come già ieri, il regista di La mafia uccide solo d’estate ha deviato dalla presentazione del suo primo romanzo …che Dio perdona a tutti per far sentire la propria opinione sulla discussione su antifascismo e censura, con un tono solo apparentemente scanzonato. Mattatore con piglio teatrale, Pif ha difeso la scelta del Salone di non attendere interventi dall’alto perché «non si poteva lasciare una persona che ha vissuto nei campi di concentramento fuori dalla fiera e un fascista dentro». Ha ricordato sorridendo che «il fatto che esista un editore che si dichiara fascista e venda libri è possibile solo perché ha vinto la democrazia. Starà alla nostra società antifascista far fallire quella casa editrice, si spera, non comprando i suoi libri». Tutto questo detto con indosso una maglietta con la scritta Padania is not Italy, presa in giro della (non sempre vecchia) mania leghista, e più precisamente salviniana, di creare divisioni interne all’Italia.

Un romanzo figlio del suo tempo – Di coerenza, democrazia e valori umani tratta anche il suo libro. Il giovane agente immobiliare Arturo, cattolico più che altro per ragioni culturali, si scontra con le difficoltà di una vita del tutto aderente ai precetti cristiani quando a chiederglielo è la religiosissima Flora. Attraverso un alter ego, a sua volta palermitano e innamorato della ricotta, l’ex iena esplora i precetti della generosità e dell’amore sotto una luce nuova. «Amare il prossimo come se stessi è difficilissimo», ride sfatando il mito della naturalezza di uno stile di vita cristiano, «a maggior ragione se sei credente: c’è proprio un Dio che te lo chiede. Di santi come San Francesco io apprezzo la cura dei lebbrosi (indesiderati come lo sono i migranti di oggi) e non quelli che chiamano “miracoli”: i miracoli veri sono quelli che potrei fare anch’io».

Cristiani, ma nel comportamento – La contraddizione diventa ancora più drammatica quando chi si professa cristiano calpesta il pane, come nelle manifestazioni di estrema destra contro le popolazioni di etnia rom. «Quella è un’immagine incredibile, proprio quelli che lo fanno si dichiarano cristiani, quando il pane è il corpo di Gesù. Non lo dovrebbe mai fare nemmeno un ateo». L’apertura dell’autore è però senza ingenuità. «Non è che i problemi non esistano» , dice più serio, «l’integrazione comporta delle difficoltà. Forse è stato questo l’errore della sinistra, averli negati. Io resto molto grato all’immigrazione, se gli arabi non fossero venuti in Sicilia non avremmo la cassata, ma dobbiamo organizzarci bene per trovare il modo di convivere».