Un «traguardo brillante» secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, addirittura una questione di famiglia per Marina Berlusconi: «la vittoria di papà». L’approvazione in seconda votazione in Senato del testo di legge sulla riforma della giustizia, detto anche ddl Nordio, apre un nuovo scenario di scontro politico sul referendum che dovrà confermarla, che sarà fissato presumibilmente la prossima primavera. Questa è la procedura prevista per tutte le riforme di leggi costituzionali che non raggiungano la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambi i rami del parlamento e che ottengano richiesta di referendum popolare, data per scontata, da parte di un quinto dei membri di una camera, 500mila elettori o cinque consigli regionali. Di articoli della Costituzione, questa riforma ne stravolge cinque: 87, 102, 105, 106 e 110. Vediamo quali, e come.

Separazione delle carriere – È il nocciolo della riforma voluta dal governo Meloni e rivendicata dal centrodestra, in particolare da Forza Italia, sin dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Da alcuni giuristi viene anche considerata la naturale conseguenza della riforma del processo penale voluta da Giuliano Vassalli nel 1988. Dopo l’approvazione della legge, e dell’eventuale successo al referendum popolare, i magistrati italiani saranno inquadrati in categorie differenziate sin dall’inizio della loro carriera, quelle di giudici e pubblici ministeri, con percorsi di formazione e reclutamento separati. Sparisce quindi la possibilità di passaggi  tra le due funzioni – attualmente una sola volta entro i primi 10 anni di professione – anche se per la verità si tratta già di una strada percorsa da una percentuale minima dei magistrati: solo l’1% negli ultimi 5 anni.

Il Consiglio superiore della magistratura – Come conseguenza del primo punto, anche il Consiglio superiore della magistratura (Csm), ora composto da 33 membri differenziati in togati e laici, sarà modificato: invece che un unico consiglio i cui membri provengono sia dalla carriera di giudice sia di pm, saranno stabiliti due csm differenziati: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente, presieduti entrambi dal presidente della Repubblica, già a capo di quello attuale. La novità è che il principio di nomina dei componenti diventerà ora il sorteggio. Oltre ai membri di diritto – presidente della Repubblica, Primo presidente e Procuratore generale della Corte di cassazione – un terzo dei componenti, i laici, sarà estratto a sorte da un elenco compilato dal parlamento di professori universitari ordinari in materie giuridiche e avvocati con quindici anni di esercizio. Mentre gli altri due terzi, i togati, saranno sorteggiati tra i magistrati, requirenti o giudicanti,  a seconda del consiglio in questione. Una volta terminato il mandato di quattro anni, non sarà possibile essere sorteggiati nuovamente.

L’Alta corte disciplinare – Se i due Csm mantengono gran parte delle competenze attuali –  assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, valutazioni di professionalità e conferimenti di funzioni – ne perdono però una rilevante, quella sanzionatoria, affidata a un nuovo organo, l’Alta corte disciplinare, composta da quindici membri. Di questi, tre saranno nominati dal presidente della Repubblica e tre sorteggiati da un elenco stabilito dal parlamento di professori universitari ordinari in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio. Sei saranno estratti a sorte tra i magistrati giudicanti con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgono o hanno svolto funzioni di legittimità (cioè sono giudici di ultima istanza) e i restanti tre saranno sorteggiati tra i magistrati requirenti con gli stessi requisiti. I togati saranno quindi in maggioranza – e quelli giudicanti più numerosi di quelli requirenti – ma il presidente verrà eletto tra i componenti nominati dal presidente della Repubblica e quelli estratti a sorte dall’elenco formato dal parlamento. In modo analogo ai Consigli superiori, i membri della Corte resteranno in carica quattro anni e il loro incarico non potrà essere rinnovato.