Sono undici i civili uccisi negli attacchi delle forze aeree russe e siriane, nel nord-ovest della Siria, di cui cinque minori e due donne. Lo riporta l’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’attivismo anti-Bashar Assad, il dittatore di Damasco. Nel mirino dei cacciabombardieri russi: la periferia occidentale di Aleppo e la provincia di Idlib. L’agenzia telegrafica russa Tass fa sapere inoltre che nelle ultime ore 400 ribelli sarebbero stati eliminati durante questi raid. Secondo l’agenzia, sarebbero stati distrutti anche cinque posti di comando delle forze anti-Assad e sette depositi nelle province di Aleppo e Idlib in 24 ore.
È la reazione alla riconquista di Aleppo da parte dei ribelli anti-Assad di venerdì 29 novembre, quando l’esercito regolare dispiegato nella città è stato sconfitto rapidamente dalle forze di Hayat Tharir al Sham (Hts). Anche l’aeroporto infine è caduto nelle mani dei ribelli dopo la strenua difesa dei miliziani curdi. Così la seconda città della Siria e sua capitale economica – dal 2016 ritornata sotto il controllo di Assad – da venerdì vede issata la bandiera del Free Syrian Army come ha raccontato il Corriere. Ricomincia da qui la guerra civile siriana iniziata nel 2011. Nel giro di poche ore, subito dopo Aleppo, la coalizione di gruppi che si oppongono ad Assad ha preso il controllo anche della provincia di Idlib e della provincia di Hama in una avanzata verso sud che è apparsa irrefrenabile.
Chi sono i ribelli – Le milizie che operano contro il governo di Bashar Assad sono di varia formazione. Anzitutto, gli ex appartenenti al Fronte al Nusra, il ramo siriano di Al Qaeda che oggi si riuniscono sotto il nome di Hayat Tharir al Sham (Hts). Hts è guidata dal veterano Abu Muhammad al Jolani che, secondo il governo libanese, è rimasto ucciso in un raid russo. A seguire, milizie di formazione filo-turca e militanti jihadisti, musulmani cinesi (gli ugiuri dello Xinjang), uzbeki e caucasici. È una formazione che deve mantenere coesione per arginare il rischio di una Siria divisa in cantoni. A contrastare i ribelli sono le forze di Aviazione russa e le forze democratiche siriane (Sfd), una federazione multietnica di difesa che è nata nei territori a maggioranza curda, spiega Il Manifesto. Anche le forze curde sono alleate di Damasco contro gli islamisti pro-Ankara e attualmente controllano il nord-est della Siria.
La scacchiera medio-orientale – Russia e Turchia, nella riapertura del conflitto, non sono rimasti neutrali. Pur avendo promosso insieme un processo di pace iniziato nel dicembre del 2016 e proseguito con i negoziati di Astana del 2017, Mosca è da sempre alleata della dittatura di Assad che Ankara invece cerca di indebolire. Inoltre, la provincia di Idlib, al centro degli attacchi, è considerata dalla Turchia come un suo protettorato. Nella giornata del 30 novembre i ministri degli Esteri turco Hakan Fidan e quello della Federazione Russa, Sergey Lavrov, hanno discusso in una conversazione telefonica dei «pericolosi sviluppi della situazione» in Siria, senza però concordare una de-escalation o una non ingerenza. Sono alleati di Damasco anche l’Iran e l’organizzazione paramilitare islamista sciita libanese Hezbollah. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, in visita a Damasco domenica, ha affermato che la situazione in Siria è sì difficile, ma che «il governo del presidente Bashar al-Assad affronterà con successo i ribelli, come ha fatto in passato». In realtà, sia sul piano interno quanto su quello internazionale, Assad appare indebolito rispetto al passato, quando controllava il 60 per cento del territorio. Questo anche perché le forze a supporto di Assad sono tutte su altri fronti: la Russia è impegnata nel conflitto con l’Ucraina, le forze armate filo iraniane sono state spostate verso il confine orientale della Siria con l’Iraq. Hezbollah ha concentrato la maggior parte dei suoi combattenti in Libano per contrastare Israele. La distrazione degli alleati di Damasco avrebbe spinto i ribelli, preparati da mesi, ad agire proprio in questi giorni trovando l’esercito regolare impreparato e vulnerabile senza l’appoggio delle forze russe e iraniane.
«300 italiani in Siria» – Nella giornata del 30 novembre, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, dopo aver concluso una riunione con l’ambasciatore italiano a Damasco, Stefano Ravangan, ha dichiarato: «In Siria ci sono circa 300 italiani, la metà a Damasco, mentre ad Aleppo siamo attorno ai 120», ha reso noto il leader di Forza Italia. «Non ci sono pericoli per i nostri connazionali: i ribelli hanno detto in maniera chiara che non toccheranno e non faranno operazioni ostili nei confronti della popolazione civile e degli italiani».