Una tregua mancata per un soffio. L’accordo per il cessate il fuoco tra Hamas e Israele previsto per le 10 del 23 novembre (9 orario italiano) è saltato, almeno per il momento. Ma «non c’è motivo di preoccuparsi», ha chiarito una fonte israeliana, perché «il ritardo non deriva da una rottura dei colloqui ma piuttosto dalla necessità di risolvere le questioni amministrative, che sono in fase di risoluzione». Anche Israel Katz, ministro del governo di Benyamin Nethanyau, ha confermato che «l’accordo sarà attuato». Il blocco delle procedure è scattato perché, secondo fonti israeliane, Hamas non ha ratificato l’accordo e non ha fornito alla controparte l’elenco dei 50 ostaggi israeliani da liberare in cambio di 150 detenuti palestinesi. Per questo motivo, i quattro giorni di tregua e lo scambio di prigionieri slitteranno almeno di un altro giorno, a venerdì 24 novembre.

Nella striscia – Nel frattempo, i bombardamenti sono andati avanti tutta la notte. Nonostante Israele abbia consigliato ancora ai palestinesi di spostarsi nel sud della striscia, la sua artiglieria ha comunque colpito, secondo i media palestinesi, la città meridionale di Khan Yunis, dove 15 persone sono state uccise. I raid hanno preso di mira anche il campo profughi di Jabaliya, a nord di Gaza, e il campo di Nuseirat, nel centro della striscia. Il bilancio della giornata di mercoledì è di 160 vittime palestinesi, delle quali 50 appartenevano a una stessa famiglia. A questo numero si aggiungono le persone uccise nella notte: 81 morti nel centro della striscia e 60 a Jabaliya, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa palestinese Wafa. L’esercito israeliano, dal canto suo, fa sapere di aver colpito oltre 300 obiettivi terroristici tra tunnel, depositi di armi, centri di comando militari e postazioni di lancio di missili nelle zone di Jabaliya e Beit Hanun, nel nord della striscia. Il portavoce militare israeliano ha dichiarato che imbocchi di tunnel sono stati trovati «sotto una moschea e dentro aree civili».

Libano e West Bank – Nessuna tregua neanche sul fronte libanese, dove continuano e si intensificano gli scambi di colpi. Nell’area dell’alta Galilea alle sirene di allarme sono seguiti lanci di razzi ed Hezbollah, l’organizzazione sciita libanese, ha rivendicato, tramite comunicati sulla tv al Manar, sei attacchi compiuti nelle ultime ore contro l’esercito israeliano. Tensioni anche in Cisgiordania dove, ha riferito la Mezzaluna rossa palestinese, un diciassettenne è stato ucciso e un giovane è stato ferito dall’esercito israeliano durante un raid nel campo profughi di Balata, a est di Nablus. Le forze di difesa israeliane avrebbero anche arrestato i soccorritori della Mezzaluna rossa che hanno tentato di portare aiuto alle vittime.

Crisi umanitaria – Al moltiplicarsi delle vittime si ripropone il problema delle sepolture dei corpi: decine di cadaveri sono state sotterrate in una fossa comune nel cimitero di Khan Yunis, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa Afp. Membri del comitato di emergenza del ministero degli Affari religiosi palestinesi, presenti sul posto, hanno riferito che i corpi provenivano dall’ospedale indonesiano e da quello di Al Shifa, entrambi a nord nella striscia. Questa mattina Israele ha dato al ministero della Sanità palestinese quattro ore per evacuare l’ospedale indonesiano, vicino al campo profughi di Jabalia. L’esercito di Tel Aviv, inoltre, ha confermato di aver arrestato il direttore dell’ospedale di Al Shifa, fermato a un checkpoint mentre si spostava verso sud attraverso un corridoio umanitario. Il blocco è legato forse alle dichiarazioni del portavoce militare israeliano, che ha sostenuto l’esistenza di un importante centro nevralgico di Hamas sotto l’ospedale.