Tabet aveva 22 anni. Poche ore dopo il suo arrivo in carcere l’hanno trovato con un cappio al collo. Era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale dopo non aver pagato il biglietto del treno. Tabet non è stato l’unico a togliersi la vita quest’anno in carcere. A puntare ancora una volta i riflettori sull’emergenza nazionale dei suicidi in carcere è il dossier Morire di carcere del sito di informazione carceraria Ristretti Orizzonti. Secondo questo lavoro, sono 74 i detenuti che si sono tolti la vita nel 2022. Mai così tanti dal 2000. Tra questi, quasi la metà sono stranieri mentre quattro sono donne. Determinata a contrastare questo fenomeno tragico è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che nel suo discorso di insediamento alla Camera dei Deputati ha dichiarato: «Le morti in carcere sono indegne di un paese civile».
Il dossier – I numeri sono allarmanti. Il 2009 rimaneva l’anno con il più alto tasso di detenuti suicidi: 72. Nei soli primi dieci mesi di quest’anno sono già 74 cui vanno aggiunti quattro agenti della Polizia Penitenziaria. Le morti per impiccagione sono state 65. In otto si sono asfissiati con il gas. Uno si è tagliato le vene. I numeri potrebbero però salire ancora poichè altre 23 morti sono ancora da accertare. L’età media dei suicidi è bassa: 37 anni. I più giovani erano due ventunenni. In molti si sono tolti la vita quanmdo stavano per riacquistare la libertà.
L’analisi – La realtà delle carceri italiane dunque cozza con il “senso di umanità” e il fine della “rieducazione del condannato” citati nell’articolo 27 della Costituzione. Le morti aumentano dove gli istituti sono affollati (a Lecce, per una capienza di 796 detenuti, le presenze sono 1125) mentre mancano psicologi e psichiatri (molti dei suicidi risultavano affetti da problemi psichici). Al carcere di Palermo, per esempio, gli psichiatri sono presenti solo 5 ore a settimana. La maggior parte dei suicidi avviene in case circondariali, istituti cioè preposti all’accoglienza di detenuti in attesa di giudizio definitivo doipo reati minori. Alcuni erano in attesa di essere ammessi nelle Comunità terapeutiche assistite o nelle Rems, residenze per soggetti con disturbi mentali.
I suicidi negli istituti, arrivati ad un tasso di 13 su diecimila (contro lo 0,67 tra i cittadini in libertà), raccontano storie di persone fragili. Come Simone, 44 anni, che era stato fermato dopo aver rubato un telefonino e un portafogli poi restituiti. Chiedeva l’elemosina ed era stato picchiato da un gruppo di bulli. Soffriva di disturbi mentali.
Le soluzioni – Secondo Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio, la costruzione di nuove carceri per rendere gli ambienti più vivibili sarebbe una soluzione sbagliata. «Negli ultimi anni la capacità dei nostri istituti è aumentata. Ma è aumentato anche il numero di detenuti. I posti non basteranno mai». D’accordo Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone: «Bisogna ripensare le politiche penali». Pensare a misure alternative alla detenzione come gli arresti domiciliari o il miglioramento della vita dei detenuti all’interno degli istituti sono possibili strade da percorrere. Per Antigone un aumento delle relazioni con l’esterno e una maggiore attenzione nei momenti chiave per la vita dei detenuti come l’ingresso e l’uscita dall’istituto servirebbe a «ridurre il senso di isolamento, di marginalizzazione e l’assenza di speranza per il futuro».