«Gli accertamenti sono finalizzati a capire perché la fune si è rotta e se il sistema frenante aveva dei difetti», ha dichiarato la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi. Dopo queste ulteriori analisi potrebbero dunque emergere nuovi responsabili della targedia del 23 maggio in cui sono morte 14 persone nella caduta della cabina della funivia. Le parole del pm arrivano nella mattinata di lunedì 31 maggio, un giorno dopo la scarcerazione di Luigi Nerini e Enrico Perocchio. Il gestore dell’impianto e il direttore dell’esercizio avevano lasciato il carcere di Verbania per mancanza di elementi sufficientemente gravi per una misura cautelare. Arresti domiciliari invece per Gabriele Tadini, il capo servizio che aveva ammesso di aver manomesso il sistema di frenata di sicurezza.

Luigi Nerini

Gli indagati – Secondo il giudice per le indagini preliminari Donatella Banci Bonamici, non esisterebbe alcun pericolo di fuga che renda necessaria la permanenza in carcere. Nerini e Perrocchio si erano presentati spontaneamente in caserma e non sono stati nemmeno interrogati. Quindi, sostiene il magitrato, la Procura avrebbe ipotizzato l’esistenza di questo pericolo solo per il «clamore mediatico nazionale e internazionale» della vicenda. Il gip ha convalidato domenica 30 maggio il fermo per i tre indagati accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime, falso e rimozione di sistemi di sicurezza. Il giudice non ha ritenuto Nerini responsabile della sicurezza dell’impianto, accogliendo la linea difensiva dell’avvocato Pasquale Patano: «Sapeva del problema ai freni, ma anche dei due interventi di manutenzione, non è lui che può fermare la funivia». Nonostante Tadini sostenga di aver condiviso con Nerini e Perocchio la decisione di mettere i forchettoni ai freni, il giudice parla di un «modesto quadro indiziario» a carico dei due dirigenti e di «dichiarazioni assolutamente coerenti e non smentite da alcuna circostanza fattuale».Confermata e aggravata, nonostante gli arresti domiciliari, la presenza di forti elementi di colpevolezza a carico di Tadini. Su di lui pesa anche la testimonianza di un operaio, secondo il quale l’ordine di installare i ceppi per bloccare i freni sarebbe già arrivato a inizio stagione, il 26 aprile.

Enrico Perocchio

Il movente Non convince nemmeno il movente economico. La giudice Bonamici ha accolto la tesi dell’avvocato Pantano, secondo cui Nerini avrebbe avuto solo da perdere nel posticipare gli interventi di manutenzione, che comunque andavano fatti.  «La stagione turistica non è iniziata e mancano i visitatori – scrive il gip – di conseguenza sarebbe questo il momento di sospendere per qualche giorno il servizio». Lo stesso vale per Perocchio: «È dipendente della Leitner (l’azienda affidataria della manutenzione annuale dell’impianto, ndr), dalla quale percepisce uno stipendio e la quale a sua volta percepisce dalla Funivie Mottarone». Secondo Bonamici, l’azienda non avrebbe avuto alcun interesse a mantenere in cattive condizioni l’impianto di Stresa, anzi «aveva tutto da perdere», così come Perocchio «in termini di professionalità e reputazione». Aumenta quindi il sospetto nei confronti di Tadini di aver voluto, a ragedia avvenuta, solo condividere con gli altri due indagati il peso della sua responsabilità e dei futuri risarcimenti economici.

Le dichiarazioni – «Non c’è motivo di gioire, bisogna capire cos’è successo», aveva dichiarato Nerini, comunque soddisfatto, dopo la scarcerazione. Il gestore dell’impianto ha negato fermamente di aver risparmiato sulla sicurezza e si è sempre dichiarato innocente, non potendo prendere lui la decisione di fermare la funivia. Anche Perocchio si è detto contento di poter tornare dalla propria famiglia, ma «disperato per le 14 vittime». «Se avessi saputo che erano stati messi dei forchettoni non avrei avallato la scelta – spiega il direttore dell’esercizio, che non riesce a darsi una spiegazione sulla rottura della fune – Tutte le manutenzioni sono state fatte, ora vedremo le analisi».