Cinque presunti scafisti arrestati in poche ore in Sicilia dalle forze dell’ordine. Ad Agrigento sono stati fermati tre nigeriani, sbarcati a Lampedusa il 16 aprile, con l’accusa di traffico di esseri umani, estorsione, violenza e omicidio. A Catania la Procura ha individuato altri due presunti scafisti, di origine libica. Uno di loro, soccorso insieme ad altri 394 migranti il 5 maggio scorso dall’organizzazione non governativa privata “Moas”, è anche accusato di concorso morale nell’omicidio di un ragazzo, avvenuto poco prima del salvataggio in mare.
Le violenze – I tre nigeriani sono accusati di aver preso in ostaggio i migranti in un edificio vicino al mare, in Libia. Centinaia di persone sarebbero state recluse nella ‘Casa bianca’, a Sabarath, in attesa di essere liberate. «Li privavano di ogni loro avere e li sottoponevano a ogni sorta di violenza e vessazione, al fine di ottenere, da parte dei loro familiari, il versamento della somma necessaria quale prezzo della liberazione», si legge nel decreto di fermo. Agli inquirenti, una donna ha raccontato di come uno dei fermati abbia ucciso suo fratello, per poi abusare di lei. Un altro testimone ha dichiarato: «Sono rimasto vittima, in più occasioni, delle loro inaudite crudeltà. Una volta – ricorda – mi hanno legato le gambe e poi mi hanno picchiato ripetutamente con un bastone nella pianta dei piedi, procurandomi delle profonde lesioni e una frattura, tanto da impedirmi di camminare per tre mesi ».
Il cappello – Due presunti scafisti libici sono stati fermati a Catania. Uno di loro è accusato della morte di Osman Kellie, 21 anni, con alcuni colpi di pistola a bordo di una carretta di legno. Il giovane non aveva capito l’ordine dato in arabo dagli scafisti di togliersi il cappello. Poco dopo, il barcone con 394 migranti a bordo fu soccorso dalla nave Phoenix, della Ong privata “Moas”. Fondata nel 2014 dai coniugi milionari Catrambone, “Moas” è finita nel mirino dopo le dichiarazioni del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, che ha parlato di possibili legami tra alcune Ong e i trafficanti.
Il video – A inchiodare il ragazzo libico di Kellie sarebbe un video girato da un aereo del Moas, fornito dalla Ong agli inquirenti, che lo ritrae sul barcone nello stesso lasso di tempo in cui avvenne l’omicio di Kellie. Il 5 maggio Regina Catrambone era a bordo della Phoenix che recuperò l’imbarcazione con il cadavere di Kellie a bordo. «È la prima volta di una collaborazione con la magistratura etnea», ha dichiarato Zuccaro in conferenza stampa. Questo gesto potrebbe smorzare le polemiche delle ultime settimane. Solo pochi giorni fa Regina Catrambone aveva risposto così alle affermazione del procuratore: «Se bisogna fare un’indagine ben venga, ma basta agli stillicidi mediatici. Stop al fango gettato su di noi e le famiglie dei nostri operatori».