Gli equilibri del conflitto in Libia hanno preso a mutare rapidamente. L’offensiva su Tripoli del maresciallo Khalifa Haftar, a capo dell’esercito nazionale libico (Lna), è fallita agli inizi di giugno dopo un anno dal suo inizio. Le forze del governo di unità nazionale (Gna) riconosciuto dalle Nazioni Unitegrazie al sostegno al sostegno turco, hanno recuperato dall’inizio del 2020 i territori perduti e sono ora in avanzata su Sirte, città petrolifera e ultimo avamposto a ovest delle milizie di Haftar, che ancora esercitano il loro controllo sulla regione orientale della Libia, la Cirenaica, con capitale Tobruk. 

No al cessate il fuoco – Il premier Fayez al-Sarraj, leader del governo di accordo nazionale libico, ha respinto la proposta del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, alleato e sostenitore di Haftar, di un “cessate il fuoco” che sarebbbe dovuto diventare operativo da lunedì 8 giugno. Al-Sarraj ha affermato che «l’esercito proseguirà il suo cammino intriso di sacrifici fino all’espulsione delle bande criminali e mercenarie venuti in Libia da tutte le parti del mondo». L’iniziativa egiziana, subito accettata da Haftar, è stata commentata anche dal portavoce delle forze militari di Tripoli, Mohammed Gununu, secondo quanto riferito dal Libya Observer: «Non abbiamo iniziato questa guerra, ma ne vedremo la data e il luogo della fine».

Reazioni internazionali – La Dichiarazione del Cairo, annunciata da Al Sisi sabato 6 giugno in una conferenza stampa dove erano presenti il maresciallo Haftar e il presidente della Camera dei rappresentanti con sede a Tobruk, Aqila Saleh, riconosceva «tutti gli sforzi internazionali per risolvere la crisi libica nel quadro politico» e prevedeva un cessate il fuoco, appunto a partire dall’8 giugno, seguito dallo scioglimento delle milizie e la consegna delle loro armi allo stesso esercito nazionale libico di Haftar. Era inoltre prevista l’espulsione di tutti i combattenti stranieri, in accordo con quanto stabilito con il vertice di Berlino di gennaio, che prevedeva la non interferenza internazionale negli affari libici. Un punto già disatteso nei fatti dall’intervento delle milizie siriane inviate dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan a sostegno dell’alleato di Tripoli, così come dal supporto fornito dal presidente russo Vladimir Putin al contingente cirenaico di Haftar. Il conflitto libico vede contrapposti Ankara e Mosca proprio come è già avvenuto in Siria. La missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha emesso un comunicato per commentare la proposta di cessate il fuoco: «La tragedia che affligge la Libia da più di un anno ha dimostrato, senza alcun dubbio, che qualsiasi guerra tra libici è una guerra persa. Non ci può essere un vero vincitore, solo gravi perdite per la nazione e il suo popolo, che hanno già sofferto a causa del conflitto per più di nove anni. Una soluzione politica alla lunga crisi della Libia rimane a portata di mano e la Missione, come sempre, è pronta a convocare un processo politico interamente guidato dalla Libia. Affinché i colloqui possano riprendere sul serio, le armi devono essere messe a tacere. Alla luce di ciò, l’Unsmil accoglie favorevolmente gli appelli degli attori internazionali e regionali nei giorni scorsi per la cessazione immediata delle ostilità in Libia».

La posizione italiana – Nella giornata di domenica 7 giugno palazzo Chigi ha reso noto che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha parlato per telefono a lungo con Al Sisi. La conversazione, come riportato in un nota, ha avuto «al centro del colloquio la stabilità regionale, con particolare riferimento alla necessità di un rapido cessate-il-fuoco e di un ritorno al tavolo negoziale in Libia». La soluzione politica della crisi libica è negli interessi di Roma per prevenire una nuova crisi migratoria. In una ricostruzione sul Corriere della Sera a firma di Fiorenza Sarzanini, si legge che il governo italiano ha attivato sia i canali diplomatici che quelli di intelligence per far fronte a una nuova possibile emergenza sbarchi. Le statistiche del ministero dell’Interno riportano all’8 giugno un totale di 5.472 sbarchi e report non confermati riferiscono di possibili 20mila migranti in arrivo. Erdogan ha già usato in precedenza l’arma della pressione migratoria per ottenere ulteriori concessioni dall’Unione Europea e non è da escludersi che Tripoli possa fare lo stesso. Il governo italiano ha così deciso di riprendere le trattative e la fornitura di materiale ai libici per poter contrastare gli sbarchi.