È con un rifiuto che l’Ucraina ha risposto alla tregua e ai corridoi umanitari aperti da Mosca a partire dalle ore 8 del 7 marzo, con direzione Russia e Bielorussia. Una soluzione «completamente immorale» secondo il portavoce del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, riportato da Bbc, perché porterebbe i civili direttamente in territorio nemico. Dopo i bombardamenti della scorsa notte, comincia il terzo round di negoziati, che si terranno in una località segreta nella foresta di Belovezhskaya Pushcha, nella regione di Brest in Bielorussia, dove si sono svolti anche i primi colloqui.

La tregua – Il ministero della difesa russo ha proclamato il primo cessate il fuoco dallo scoppio del conflitto il 24 febbraio, per permettere le operazioni di evacuazione dei civili ucraini nelle aree più colpite del Paese. Una decisione presa dopo le trattative degli scorsi giorni, così come «richiesto dal presidente francese Emmanuel Macron» (fonte: Tass). Che le destinazioni dei sei corridoi umanitari fossero però la Russia e la Bielorussia è emerso solo nella giornata del 7 marzo. Secondo i piani di Mosca, i cittadini rimasti a Kiev partirebbero per Gomel, in Bielorussia, città a circa 250 chilometri dalla capitale ucraina, passando per Gostomel, Rakovka, Sosnovka, Ivankov, Oranoye, Chernobyl e Gden. Da lì è previsto poi un trasferimento in Russia. Da Mariupol le rotte sono invece due: una verso Rostov sul Don, nella Russia meridionale, l’altra verso Zaporozhye, la località nel sud-est dell’Ucraina dove ha sede la centrale nucleare appena bombardata dall’Armata russa. Per gli evacuati da Kharkiv un corridoio arriva nella città di Belgorod (Russia occidentale), per quelli da Sumy le rotte sono due, una termina a Belgorod, l’altra a Poltava, nell’Ucraina centrale. L’Eliseo ha precisato in mattinata che «contrariamente a quanto affermato da Mosca, il presidente Macron non ha mai chiesto l’apertura di corridoi umanitari verso la Russia».

Alcuni rifugiati ucraini alla stazione di Przemysl, in Polonia. EPA/Darek Delmanowicz

Negoziati – E’ ancora aperta comunque la via diplomatica, per quanto le posizioni tra Russia e Ucraina continuino a essere distanti. Secondo l’Eliseo, Mosca «non cede su niente», mentre nelle ultime ore David Arakhamia, capo negoziatore ucraino, ha escluso il riconoscimento dell’indipendenza della Crimea e del Donbass, pur dichiarandosi pronto a discutere «alcuni modelli non Nato». Tra i mediatori, dopo la Cina, sono emersi negli ultimi giorni anche il premier israeliano Naftali Bennet e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto in conferenza stampa che Pechino è pronta a continuare a svolgere «un ruolo costruttivo per facilitare il dialogo e per la pace, lavorando a fianco della comunità internazionale per svolgere la necessaria mediazione», anticipando che fornirà aiuti umanitari «il prima possibile» attraverso la Croce Rossa nazionale. La credibilità di Pechino come mediatore è però venuta meno dopo le informazioni diffuse dall’intelligence americana sul fatto che la Cina sapesse dell’invasione russa e avesse chiesto a Putin di rimandare l’ingresso in Ucraina a dopo le Olimpiadi. Ben diverso potrebbe essere il ruolo di Israele, alleato degli Stati Uniti, ma con relazioni solide sia con la Russia sia con l’Ucraina.

La situazione – È salito a oltre 1,7 milioni il bilancio delle persone fuggite dall’Ucraina secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Un numero che secondo le previsioni potrebbe toccare i 5 milioni di rifugiati. Di questi più di 1 milione è in Polonia, oltre 20mila sono in Turchia. Prima della tregua del 7 marzo, i russi hanno intensificato i bombardamenti in tutta l’Ucraina. Nei sobborghi di Kiev la situazione viene definita «catastrofica» dal consigliere della presidenza ucraina Oleksiy Arestovich. Le forze russe continuano ad ammassarsi alle porte della capitale.