«Ci aspettiamo da Mosca segnali immediati di de-escalation». È un tweet che sembra quasi provenire dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden, quello di Olaf Scholz. Per il cancelliere tedesco, arrivato a Kiev nella giornata del 14 febbraio per un incontro con il presidente Volodimir Zelensky, e che sarà a Mosca per un incontro con Vladimir Putin il 15, la priorità è una: disinnescare un possibile conflitto in Ucraina. In caso contrario, «una nuova aggressione militare avrà delle conseguenze pesanti per la Russia», continua Scholz. Nel braccio di ferro tra Washington e Mosca, Berlino è in pieno allineamento con l’Alleanza atlantica, dopo un primo silenzio sulla questione, per quanto resti il nodo sul gasdotto Nord Stream 2, sul quale il leader tedesco non si è ancora espresso in maniera esplicita.

La posizione tedesca – Niente armi all’Ucraina, solo caschi militari, nessuna dichiarazione su Nord Stream 2, tanto che, sui social tedeschi, c’è chi aveva lanciato l’hashtag #woistscholz, “dov’è Scholz”. Per rassicurare gli Stati Uniti sull’affidabilità della Germania, all’inizio del mese il cancelliere tedesco era dovuto volare fino a Washington, per la prima visita ufficiale a Biden. Era seguita la dichiarazione del presidente americano: «Se la Russia invaderà l’Ucraina, il gasdotto Nord Stream 2 non ci sarà più e Mosca pagherà un prezzo altissimo». Parole che Scholz ha supportato dicendo, «se ci sarà l’invasione, saremo uniti nella risposta». Nessun riferimento diretto al gasdotto, che trasporterà il gas russo in Germania, passando sotto il Mar Baltico, ed è stato completato lo scorso settembre. Nella giornata del 13 febbraio, Scholz ha definito la missione a Kiev come «un tentativo di garantire la pace all’Europa». L’alternativa sono sanzioni economiche e finanziarie, come hanno ribadito anche i ministri della Finanza dei Paesi del G7.

La situazione attuale – Secondo l’intelligence americana, sarebbe salito a circa 130mila il numero dei militari russi al confine con l’Ucraina. Le aree più calde sono la regione del Donbass, a est, dove si trovano forze separatiste filorusse e si combatte dal 2014 – nonostante la pace di Minsk –, la penisola di Crimea a sud, annessa a Mosca dopo la cacciata del presidente Janukovic, e la Bielorussia, dove sono in corso dieci giorni di esercitazioni militari congiunte, cominciate il 10 febbraio. Resta alta la tensione nel Paese, mentre continua lo stallo diplomatico dopo i colloqui tra Biden e Putin, l’ultimo una telefonata nella giornata di sabato, e l’incontro a Mosca con il presidente francese Emmanuel Macron.

Le richieste – Il Cremlino continua però a negare di voler scendere in guerra. «Ci aspettiamo che questi esigui canali per il dialogo alla fine ci permetteranno di trovare una sorta di reciprocità da parte dei nostri oppositori e il desiderio di trovare una soluzione che veramente significherà il tenere conto dei nostri interessi», ha detto il portavoce Dmitri Peskov, riportato dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti. «Nell’ambito delle questioni per noi essenziali, gli americani ignorano le nostre preoccupazioni, e mi riferisco alla questione delle garanzie di sicurezza che ha posto il presidente Putin – ha proseguito – a questo proposito la situazione non è rosea, ma noi comunque speriamo.
In qualità di persone ragionevoli, ci stiamo preparando al peggio, ma speriamo comunque nel meglio». Nello specifico, le garanzie chieste dalla Russia sono legate al divieto di un ulteriore allargamento della Nato a est, ma anche al ritiro delle forze da Paesi unitisi all’Alleanza atlantica dopo il 1997 – un blocco che include gran parte dell’Europa orientale, dai Paesi baltici ai Balcani.