In Ucraina si continua a combattere, dall’altra parte del mar Nero, in Turchia, si discute per raggiungere il cessate il fuoco. Continuano i negoziati tra Kiev e Mosca con la mediazione di Ankara. Le trattative si svolgono nella consolidata modalità online dopo il primo incontro inaugurale della settimana scorsa, ad Antalya, tra i ministri degli Esteri russo Sergej Lavrov e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. I colloqui proseguono sullo schema dei sei punti ormai noto da giorni: neutralità ucraina, «denazificazione» del Paese, disarmo e garanzie di sicurezza, protezione della lingua russa, accordo sullo stato delle repubbliche del Donbass e riconoscimento dell’annessione della Crimea da parte di Kiev. Netta la posizione dell’Unione europea, i cui ministri degli Esteri si riuniscono per discutere un nuovo pacchetto di sanzioni per colpire il settore energetico russo, sostentamento vitale per portare avanti la campagna militare in ucraina. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, deplorando i «crimini di guerra commessi a Mariupol», ha affermato che «la Russia ha perso ogni tipo di legittimità morale. Putin merita la più netta condanna del mondo civilizzato».

Il Cremlino dice no all’incontro Putin-Zelensky – Secondo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, «Russia e Ucraina sono vicine a un accordo su quattro punti cruciali». Meno ottimista sull’esito positivo dei negoziati è parso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha però ribadito la necessità di continuare a trattare: «Bisogna continuare a provarci, quand’anche ci fosse solo l’1 per cento delle possibilità, se i negoziati con Putin falliscono, vorrà dire che sarà iniziata la Terza Guerra Mondiale». In un’intervista all’emittente americana Cnn, il presidente ucraino ha anche espresso la volontà di stabilire un «contatto diretto» con Vladimir Putin. Ipotesi smentita dal portavoce del Cremlino Dmytro Peskov secondo il quale «al momento non ci sono ancora le basi per un incontro tra i due presidenti, che avverrà quando ci saranno progressi significativi nei negoziati tra le delegazioni». Ancora troppo deboli, secondo Peskov, che ha sottolineato come «la Russia è pronta a lavorare più velocemente sui negoziati rispetto alla parte ucraina».

I quattro punti di contatto – Sono di natura politica i quattro pilastri su cui Russia e Ucraina potrebbero trovare un iniziale terreno comune su cui costruire la tregua, prima, e un trattato di pace, poi.

Il primo riguarda la neutralità ucraina: l’impegno di Kiev a non aderire alla Nato è uno dei temi in cui le delegazioni sembrano aver trovato maggiore convergenza secondo il mediatore turco. Zelensky ha però rifiutato l’ipotesi di neutralità su modello austriaco, cioè un impegno perpetuo, sancito dalla Costituzione, ma anche del modello svedese, vale dire una scelta politica, dunque più facile da invertire.

Il disarmo richiesto dalla federazione russa non impedirebbe all’Ucraina di avere un proprio esercito, impedirebbe però a Kiev di ospitare sul suo territorio basi straniere e di comprare armi dall’estero. La contropartita messa sul tavolo dalla delegazione ucraina per accettare queste condizioni è la creazione di un gruppo di garanti del trattato (probabilmente Stati Uniti, Regno Unito e Turchia) che si impegnino a intervenire militarmente in caso una nuova offensiva russa tornasse a minacciare l’integrità territoriale dell’ucraina.

Il terzo punto, il più politico, riguarderebbe la cosiddetta «denazificazione» del Paese. Accusa respinta con forza dal presidente Zelensky – ebreo, la cui famiglia ha pagato col sangue l’opposizione alla persecuzione nazista –  che proprio il 20 marzo, nel suo discorso alla Knesset proiettato nella piazze israeliane, ha arringato la folla col suo discorso. Chiedendo a Israele di prendere una posizione netta sul conflitto e di sanzionare l’invasore russo, Zelensky ha paragonato le sofferenze del suo popolo a quelle vissute dagli ebrei europei durante la Shoah, suscitando polemiche nel Paese. Su questo punto le misure attuabili da Kiev potrebbero limitarsi a mettere al bando l’unico partito di estrema destra rappresentato in Parlamento, (Svoboda occupa appena un seggio dell’assemblea) e a cambiare il nome delle strade dedicate ai nazionalisti ucraini che hanno fiancheggiato l’esercito tedesco nazista contro l’avanzata dell’Armata Rossa.

Il quarto punto sul quale sembra possibile trovare un accordo riguarda la tutela della lingua russa. Con una legge del 2019, il governo di Petro Oleksijovyc Poroshenko ha tolto alle lingue minoritarie – incluso il russo – lo status di lingua regionale, limitandone di fatto l’utilizzo in contesti ufficiali e pubblici. La normativa era già stata criticata dallo stesso Zelensky, russofono come milioni di altri ucraini.

Il nodo del territorio – I punti sui quali l’intesa è tutt’altro che vicina sono invece quelli che riguardano le dispute territoriali. In primis il riconoscimento delle autoproclamate repubbliche del Donbass, dove si combatte a bassa intensità da 8 anni. Per Mosca, l’acquisizione dei territori dove le minoranze di etnia russa sono più cospicue è un fatto compiuto, ma l’Ucraina esclude di fare cessioni e ha chiesto negoziati separati per dirimere la questione. Lo stesso vale per il riconoscimento dell’annessione della Crimea avvenuto dopo la cacciata di Viktor Janukovyc e sancita da referendum. Zelensky ha invocato una soluzione di compromesso per «permettere a questi territori di continuare a vivere».