pane2Una pagnotta di pane ha un costo. Basso per i consumatori, molto alto per l’ambiente. A sostenerlo è il Centro per un Futuro Sostenibile dell’ università di Grantham, a Sheffield, secondo il quale ogni pagnotta contribuisce a produrre 0,6 kg di CO2. La colpa è soprattutto dei fertilizzanti, utilizzati nel 60% delle coltivazioni britanniche e responsabili del 43% delle emissioni.

Lo studio – «Tutti sanno che la plastica inquina. Noi abbiamo scoperto che anche una pagnotta di pane contribuisce al riscaldamento globale a causa dell’utilizzo dei fertilizzanti. Nella fase di produzione, queste sostanza richiedono infatti molta energia. In quella di utilizzo, invece, liberano l’ossido di azoto», ha dichiarato Liam Goucher. Il ricercatore è parte di una equipe di studiosi che ha cercato di valutare l’impatto ambientale della produzione del pane prendendo in esame tutte le fasi del processo, dalla coltivazione alla distribuzione. A rendere possibile il tutto, una collaborazione pionieristica. Quella con Richard Bruce, coautore di un Business Engagment Lead per il Centro per il Futuro Sostenibile dell’università di Grantham. Anche il professor Lenny Koh ha dato una mano: suo è SCEnAT, lo strumento avanzato di assestamento del ciclo di vita che ha permesso di analizzare i dati e di arrivare alla conclusione che anche il pane contribuisce al buco dell’ozono. Un risultato shock, portato alla luce dalla rivista Nature Plants che ha deciso di pubblicare lo studio per sensibilizzare l’opinione pubblica.

Fertilizzanti: benefici e rischi – Secondo i ricercatori, il problema è serio e di non facile risoluzione. Gli agricoltori ricorrono molto spesso al nitrato d’ammonio e agli altri fertilizzanti che permettono di avere un buon raccolto indipendentemente dalle condizioni climatiche. Non solo. Il loro utilizzo è economico e permette notevoli risparmi. Per questo a nulla erano valse le detrazioni degli scienziati che anni fa avevano invitato tutto il mondo a bandire questi prodotti dalla circolazione perché potenzialmente dannosi per la salute umana. «Se pensiamo che ogni anno vengono utilizzate 100 milioni di tonnellate di fertilizzanti per incentivare la produzione agricola, ci rendiamo subito conto dell’enormità del problema che non è soltanto una questione tecnica ma anche politica – ha dichiarato il ricercatore Pete Horton, chief advisor del Centro per il Futuro Sostenibile all’università di Grantham – I nostri risultati portano alla luce un punto chiave della sfida sulla sicurezza del cibo: risolvere i conflitti del sistema agroalimentare, il cui obiettivo primario è quello di fare profitto, non di garantire la sicurezza del cibo».

Soluzione – Secondo il professor Duncan Cameron, coautore dello studio e condirettore del centro P3, una soluzione c’è: «Pensiamo alle pratiche agronomiche. Grazie alle nuove tecnologie, queste riescono a sfruttare il meglio dell’agricoltura organica con il duplice obiettivo di monitorare lo stato nutrizionale dei terreni e delle piante e di riciclare, con la promessa di nuove varietà di raccolto che siano capaci di utilizzare il nitrogeno dei terreni in modo più efficiente».