E’ prevista per oggi, 10 giugno, la decisione del Comitato Tecnico Scientifico su Astrazeneca e il suo uso nella profilassi destinata ai più giovani. Sotto la lente di ingrandimento ci sono gli Open Day vaccinali, gli eventi cui è possibile presentarsi ottenere un vaccino Pfizer o Astrazeneca senza prenotazione e senza un certificato redatto dal proprio medico di base. Il dubbio è se sia opportuno permettere anche alle persone dai 18 anni in su di ottenere una dose di Astrazeneca in questo modo. Sullo sfondo c’è la questione delle trombosi. Benché siano estremamente rare e non sia chiaro il nesso causale tra l’assunzione di vaccini a vettore adenovirale (Astrazeneca e Johnson and Johnson) e l’avvento dell’episodio trombotico (ne sarebbe colpita una persona ogni 100.000 vaccinati con Astrazeneca), l‘Agenzia italiana del farmaco rivela che le persone colpite sarebbero soprattutto donne tra i 25 e i 60 anni. Di conseguenza il Cts dovrà decidere se continuare con la campagna vaccinale con questo tipo di preparati per quella fascia di età e se permettere il proseguimento degli Open Day. Il Cts dovrà anche monitorare le scelte delle Regioni, che proseguono in ordine sparso sulle giornate aperte. L’Asl di Napoli 2 nord ha ha revocato il suo, mentre Lazio e Sicilia lo hanno confermato.
I fatti recenti – Nei giorni scorsi due donne di 18 e 42 anni sono state ricoverate in terapia intensiva con diagnosi di trombosi dopo avere assunto Astrazeneca in due Open Day in Liguria e in Toscana. Ciò ha accelerato la discussione in atto dopo la relazione dell’Aifa del 28 maggio che recepisce le indicazioni della sua omologa europea, l’Ema. Secondo quest’ultima il rapporto costi/benefici nell’assunzione di Astrazeneca decrescerebbe con il diminuire dell’età di chi lo assume. Per questo Il ministero della Salute ha riservato i vaccini a vettore adenovirale (il funzionamento di Johnson and Johnson è simile a quello di Astrazeneca) «in via preferenziale» agli over 60. Una decisione che dovrebbe essere ribadita in queste ore dal Cts, che sembra essere orientato verso l’eliminazione della formula «in via preferenziale» dalle indicazioni di somministrazione di questi vaccini. Questo spingerebbe le regioni a non sottoporre i giovani ai vaccini adenovirali. Salterebbero quindi gli Open Day di Astrazeneca, inizialmente introdotti per due motivi: a) dare una chance ai giovani (soprattutto ai maturandi) di avere accesso al vaccino e b) non sprecare le dosi che non sono state somministrate perché rifiutate o per altri motivi.
Il problema del richiamo – In questo scenario si innesta il problema del cambio di rotta dell’Aifa rispetto agli inizi di gennaio, quando l’Agfenzia aveva autorizzato Astrazeneca come vaccino da somministrare alle persone tra i 18 e i 55 anni «in via preferenziale». Una decisione dovuta ai dati disponibili in quel momento: c’era una carenza di informazioni sulla fascia over 55 e una buona conoscenza degli effetti positivi del vaccino di Oxford. I dati raccolti a febbraio dal Regno Unito hanno poi mostrato buoni risultati anche nella fascia di età superiore, permettendo la somministrazione nella fascia senior. A fare cambiare idea all’Aifa in Aprile sono state le segnalazioni nelle settimane seguenti di trombosi atipiche in persone di età inferiore ai 60 anni. Queste erano in prevalenza donne di età tra i 25 e i 60 anni. Tuttavia la campagna imperniata su Astrazeneca era già partita e molte persone sotto i 60 hanno assunto la prima dose. Il problema rimane cosa fare con costoro. Secondo il Cts in questi giorni sono stati pubblicati alcuni studi sull‘incrocio dei vaccini, cioè sulla somministrazione di un vaccino a Rna messaggero (Pfizer o Moderna) come seconda dose dopo l’assunzione di un vaccino adenovirale. Una questione cruciale, dato che la stessa Aifa rivela che non ci sono certezze sul fatto che chi ha assunto il primo Astrazeneca senza effetti collaterali gravi sia immune da trombosi dopo la seconda dose.
Diversi pareri – La comunità scientifica non ha un parere unanime su come procedere con Astrazeneca. Il coordinatore del Cts Franco Locatelli richiede «massima attenzione» sul tema degli Open Day, per i quali è opportuna una «seria riflessione». Sulla questione Antonella Viola (Università di Padova) è netta: «Sbagliatissimo proporre questi vaccini ai giovani, specialmente alle donne. Sono sempre stata convinta che non bisognerebbe darli a persone di età inferiore ai 55 anni». I cambi di rotta dell’Agenzia del farmaco e del ministero della Salute sono l’oggetto delle critiche di Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive di Genova: «Sul vaccino Astrazeneca serve una posizione chiara e definitiva di Aifa. il balletto delle comunicazioni e delle raccomandazioni che hanno cambiato le fasce d’età per questo vaccino, con errori enormi di comunicazione, non ha fatto bene a questo vaccino anti-Covid che i dati inglesi dicono funzioni benissimo». Secondo Bassetti i medici dovrebbero sapere nel più breve tempo possibile quali vaccini possono essere somministrati, ma si tratterebbe di una «scelta politica». Secondo Andrea Crisanti (Università di Padova) le differenti valutazioni della comunità scientifica su Astrazeneca sarebbero «un processo che avviene naturalmente per ogni vaccino, che viene autorizzato con determinate indicazioni. Via via che si accumulano i dati, il perimetro delle indicazioni cambia» e suggerisce che a causa di alcune incoerenze nelle linee guida di Astrazeneca sarebbe opportuno che ai giovani venga data un’alternativa, se disponibile. Fabrizio Pregliasco della Statale di Milano propone fasce d’età definite: «Per il vaccino di Astrazeneca potrebbe essere utile valutare una limitazione dai 50 anni in su per le donne e dai 40 in su per gli uomini», tuttavia auspica una posizione più netta da parte dell’Agenzia del farmaco: «non basta un’indicazione o una comunicazione». Maria Rita Gismondo, virologa dell’ospedale Sacco di Milano ritiene che le le indicazioni recepite dall’Aifa siano «precise. A queste indicazioni bisogna assolutamente attenersi» e aggiunge: «E’ triste assistere ancora a messaggi che creano incertezza nella gente, con la conseguenza molto grave di incentivare l’astensione dalla vaccinazione». Massimo Clementi del San Raffaele mette l’accento sull’utile immediato: «Il rischio di Astrazeneca per le donne sotto i 50 anni è infinitesimale e lo resta anche adesso. Tuttavia, da un punto di vista prettamente operativo e pragmatico, se si vuole un successo della vaccinazione fra i giovani usiamo un prodotto diverso. Così nessuno parla più». Sulla stessa linea, Massimo Galli direttore del reparto malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano: «Astrazeneca si è attirato troppi patemi, a questo punto è anche una questione di qualità di vita e serenità delle persone. Si valuti se è necessario andare avanti con questo vaccino. Se non è così, si tolga in certe fasce d’età».