Dopo il recente successo del primo studio sperimentale preclinico, il nuovo vaccino LeCoVax2 ha provato la sua efficacia nella produzione di anticorpi contro il SARS-CoV-2. I primi test effettuati su animali da laboratorio hanno avuto esito positivo, proseguendo la serie di risultati incoraggianti di questa esclusiva ricerca, tutta italiana, realizzata dall’Università degli studi di Milano in collaborazione col centro VisMederi Research, uno dei centri leader nel mondo per la valutazione dei vaccini, con sede a Siena. Il lungo lavoro è stato coordinato da Claudio Bandi, Sara Epis e Gian Vincenzo Zuccotti presso il Centro Ricerche Pediatriche Romeo ed Enrica Invernizzi, istituto nato dalla collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione Invernizzi e l’Azienda Ospedaliera Sacco-Fatebenefratelli. A partecipare al progetto anche il docente Emanuele Montomoli, direttore scientifico di VisMederi Research srl. Grazie ai grandi sforzi della ricerca si è arrivati già a due brevetti, depositati nel febbraio 2021. La novità di questo vaccino, rispetto ai suoi predecessori si basa sull’azione mirata degli anticorpi prodotti da alcuni microrganismi particolari, nello specifico le leishmanie. Si tratta degli organismi unicellulari non patogeni per i mammiferi, uomo compreso.

Secondo Epis e Bandi i presupposti per un’alternativa valida e, soprattutto, utile agli attuali vaccini in circolazione ci sono tutti. Nonostante un potenziale arrivo tardivo sul mercato del prodotto finale, l’impatto che LeCoVax2 potrebbe avere sul peso della convivenza forzata con il virus nel tempo e sugli sforzi necessari a sostenere i cicli di vaccinazione annuali per tutta la popolazione sarà fondamentale. Punti di forza significativi, la grande facilità e convenienza economica della sua produzione, così come le sue modalità di conservazione e somministrazione.

Claudio Bandi docente UNIMI

Claudio Bandi, docente di microbiologia presso l’Università degli studi di Milano

Quando e come è nata l’idea per lo sviluppo del vaccino LeCoVax2? E come è adesso la situazione?
Epis: «Si può dire che sia iniziato tutto nel marzo 2020, nel momento più buio della crisi pandemica nel nostro Paese. Io sono originaria di Bergamo, quindi per me a quel tempo la ricerca di un possibile vaccino anti-Covid aveva un significato particolare. Il fatto che il siero potesse funzionare all’epoca era un po’ una sfida, come lo è tuttora. Allora non sapevamo. La ricerca in fondo è fatta anche così: ci sono dei rischi e bisogna provare. Al momento siamo alla ricerca di un partner industriale per poter passare alla Fase 1 della sperimentazione e iniziare i test sulle persone su base volontaria. Nei prossimi giorni ci saranno dei contatti con dei potenziali investitori e speriamo di riuscire a giungere ad un accordo».

Cosa differenzia questo vaccino da quelli principali già in circolazione?
Bandi: «Astrazeneca, Pfeizer, Johnson&Johnson, Sputnik: in molti hanno puntato sul far produrre dalle nostre cellule i pezzi del virus che inducono la risposta immunitaria, che si tratti di mRNA o di RNA. Noi abbiamo scelto un approccio da un certo punto di vista più precedente, molto gettonato in passato, ovvero utilizzare un microrganismo in grado di produrre un antigene delle proteine del virus: nello specifico, il “Leishmania tarentolae”. Come tutte le leishmanie, questo organismo dovrebbe avere la particolarità di entrare nelle cellule che innescandola risposta immunitaria. Così facendo, dovrebbe essere possibile portare la proteina esattamente dove dovrebbe andare. Proprio in questa caratteristica consiste l’elemento di novità introdotto da questo nuovo vaccino».

Sara Epis UNIMI

Sara Epis, docente di parassitologia presso l’Università degli studi di Milano

Quali differenze porterà LeCoVax2 sia in termini di somministrazione e conservazione del vaccino che in termini di costi di produzione?
E: «La nostra speranza è quella di poter utilizzare una modalità di somministrazione alternativa rispetto a quella attuale, ovvero all’ago, attraverso l’impiego di capsule da somministrare per via orale o rettale. Non ci sono ancora previsioni di costi a livello industriale, ma la forza di questo siero sta proprio nel fatto che la Leishmania è un organismo coltivabile con grande facilità e con un processo molto semplice ed economico, che non necessita di condizioni particolari, come ad esempio nel caso delle colture cellulari. Inoltre, la sua produzione è compatibile con l’impiego di grandi biofermentatori, che garantirebbero bassi costi di produzione in tempi brevi e in grandi quantità. Al momento stiamo cercando di testare l’utilizzo del prodotto a livello liofilizzato, cosa che permetterebbe di conservare il vaccino anche a temperatura ambiente, fornendo un enorme vantaggio sia in termini di trasportabilità che di conservazione in luoghi difficili da raggiungere o con condizioni climatiche avverse.

A che punto della fase di sviluppo è il vaccino? Si ha già una data stimata per il rilascio e la distribuzione?
B: «Stiamo proseguendo la fase preclinica, e ci sarà ancora molto lavoro da fare soprattutto nei mesi di settembre e ottobre. La nostra previsione per l’inizio di uno studio clinico di Fase 1 con la sperimentazione sui volontari è per questo prossimo autunno. Gli esempi precedenti nello sviluppo dei sieri prodotti dai grandi colossi industriali hanno mostrato come il passaggio da Fase 1 a Fase 2 e Fase 3 sia possibile anche in tempi abbastanza contenuti. Questo ci fa immaginare di poter arrivare a un prodotto finito a distanza di un anno dall’inizio della Fase 1. Quindi nell’inverno 2022. Potrebbe sembrare che LeCoVax2 arrivi fuori tempo massimo nell’emergenza Covid, ma d’altronde avere delle alternative vaccinali è sempre un bene. E, soprattutto, se si dovesse confermare anche una buona efficacia del siero, la sua particolare tipologia di somministrazione risulterebbe molto utile nello scenario attuale, dove la protezione vaccinale garantisce solo un anno di immunità. Con la possibile permanenza del virus e la convivenza forzata nel lungo termine, alleggerire il numero di iniezioni necessarie per la protezione sanitaria di tutti i 60 milioni di cittadini italiani sarebbe a dir poco vantaggioso».