«Costruire connessioni più resilienti con il mondo». Ursula von der Leyen descrive così lo scopo del Global Gateway, il piano di investimenti da 300 miliardi di euro che la Commissione europea intende implementare da qui al 2027. Cinque i settori chiave del progetto: digitale, ambiente ed energia, trasporti, salute e istruzione. Come ha precisato la presidente dell’esecutivo europeo, questi investimenti serviranno anche a «promuovere i valori democratici, gli standard europei, il buon governo e la trasparenza», insieme alle «infrastrutture verdi e pulite».

I fondi – Secondo quando riporta Linkiesta, per trovare i 300 miliardi, l’Ue ricorrerà a diversi attori. Circa 145 miliardi saranno messi a disposizione dalle istituzioni finanziarie (banche di investimento) dei Paesi membri, dal fondo europeo per lo sviluppo sostenibile e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Diciotto miliardi arriveranno dai programmi comunitari già previsti nella cornice dell’azione esterna dell’Ue. Ciò che resta dovrebbe essere messo a disposizione dagli investitori privati coinvolti nel Piano.

Dove investire – Non sono stati presentati ancora programmi specifici sull’utilizzo dei fondi. Le infrastrutture saranno sia di carattere “convenzionale” che digitale. Nel primo caso si parla di progetti per energia green e sviluppo dell’idrogeno verde, trasporti e centri di ricerca. Per le infrastrutture digitali, è probabile che i programmi si incentreranno su cloud per la condivisione dei dati e implementazione di cornici legislative e standard di qualità comuni nei Paesi interessati – entrambi step necessari per una cooperazione produttiva nel campo di big data e intelligenza artificiale.
Gli investimenti europei dovranno rispettare una doppia condizionalità: centrare gli standard di sostenibilità ambientale e promuovere il rispetto dei diritti umani, specie nei Paesi in via di sviluppo.

Gli obiettivi – Il Piano nasce anche dalla necessità di «aumentare la resilienza delle catene di approvvigionamento» europee, come precisato dall’Alto rappresentante agli Affari esteri Josep Borrell. Catene del valore che la pandemia ha messo a dura prova, specie per quel che riguarda il trasporto marittimo. La Commissione ha fatto sapere che lo sviluppo di hub logistici e infrastrutture di trasporto sarà al centro dei progetti finanziati nel Mediterraneo e, è facile da immaginare, anche nella regione dell’Indo Pacifico. 
Per quel che riguarda Africa, Sud America e parte dell’Asia ci si concentrerà su investimenti in materia di energia verde (con un’attenzione particolare all’idrogeno), ricerca e sanità. Il potenziamento delle infrastrutture «convenzionali” come reti ferroviarie e cavi in fibra ottica interesserà invece tutte le regioni coinvolte nel Global Gateway.

Vie della seta all’europea – Il rappresentante tedesco presso l’Unione europea, Michael Clauss, ha descritto il Global Gateway come «un’alternativa attraente all’iniziativa cinese delle vie della Seta». Il mastodontico progetto infrastrutturale cinese (1.300 miliardi di investimenti fino al 2027) negli ultimi anni ha perso impeto, anche grazie alla riluttanza di molti Paesi europei che, dopo aver firmato i memorandum di intesa con la RPC, si sono di fatto tirati indietro. A frenare le infrastrutture cinesi è stata anche la “trappola del debito“. Molti Paesi africani, come anche il Montenegro in Europa, si sono resi conto solo dopo aver accettato i prestiti cinesi di non essere in grado di saldare i debiti. La Cina a quel punto ha iniziato a rilevare gli asset nazionali dei debitori insolventi, a partire dalle reti di trasporti e telecomunicazioni statali.
Il Piano europeo, al contrario, «non intende lasciare una scia di debiti nei Paesi terzi», ha dichiarato la commissaria allo Sviluppo Jutta Urpilainen. Una precisazione che suona come un velato j’accuse al colonialismo economico cinese. Provocazioni a cui Pechino ha già risposto sulle colonne del Global Times, organo internazionale del Partito comunista cinese. Gli investimenti europei altro non sarebbero che una maschera per promuovere l’influenza politica dell’Ue e la sua visione ideologica, destinati dunque a «fallire nell’implementare lo sviluppo economico locale» e «distruggere le politiche e le società» dei Paesi interessati.