La seconda ondata di Covid-19 che lo scorso febbraio ha colpito l’India sembra finalmente rallentare, grazie anche ai progressi della campagna di vaccinazione messa in atto, seppur con ritardo, dal governo centrale. Ciononostante, le disuguaglianze strutturali di una società ancora fortemente legata a valori patriarcali fanno emergere un dato preoccupante: la maggior parte delle dosi in India è stata somministrata agli uomini.
Donne indietro nelle regioni rurali – Un vero e proprio gender gap vaccinale quello segnalato da CoWin, la piattaforma indiana di tracciamento della pandemia: degli oltre 321 milioni di vaccini totali, 173 sono stati somministrati a uomini, contro i 148 riservati alle donne (dati al 28 giugno). Un divario che non corrisponde al dato demografico nazionale di 924 donne per 1.000 uomini. In alcuni degli Stati indiani più popolosi, come la regione dell’Uttar Pradesh, le donne vaccinate corrispondono al 42% del totale mentre nei territori rurali come il Dadra e Nagar Haveli la percentuale scende al di sotto del 30%. Per evidenziare questo fenomeno, il Center for Economic Data and Analysis (CEDA) dell’università di Ashoka ha redatto una mappa che ogni giorno monitora il divario di genere nelle vaccinazioni: secondo il direttore dell’istituto, la professoressa ed economista Ashwini Deshpande, «fino a giugno non c’era un grosso divario perché le dosi di vaccino erano riservate soprattutto agli operatori sanitari, che sono in gran parte donne. Quando la fase 1 è terminata e la vaccinazione è stata aperta a tutti i gruppi d’età, le donne sono state lasciate indietro».
Le cause del divario – Per Sofia Imad dell’IDFC Institute, un think-tank con sede a Mumbai, le ragioni per cui le donne hanno scarso accesso al vaccino o non vogliono farlo sono diverse: «Si sono sparse delle voci su come il farmaco abbia degli effetti collaterali sulla fertilità e sul ciclo mestruale», dichiara Imad al Guardian. «Ma ci sono anche altri fattori, come le donne che non possono accedere alla tecnologia necessaria per registrarsi, non hanno informazioni su dove si trovino i centri vaccinali o non sono in grado di spostarsi senza il permesso dei mariti». Il divario nei vaccini si inserirebbe quindi all’interno di un gender gap più grande, quello tecnologico e digitale: un’indagine nazionale condotta tra il 2019 e il 2020 dimostrava come il 58% delle donne indiane non aveva mai usato internet, rispetto al 38% degli uomini. La maggior parte delle donne in India non possiede uno smartphone e non sa come usarlo, quindi non può registrarsi su CoWin – che oltretutto è completamente in inglese – e prenotare il vaccino. «In un Paese con una bassa penetrazione degli smartphone, una scarsa conoscenza dell’inglese e un profondo divario digitale, la logica di subordinare l’accesso ai vaccini alla registrazione basata su app è misteriosa nel migliore dei casi e insensibile nel peggiore», commenta Deshpande. Proseguire in questo modo è, per l’economista, «una ricetta perfetta per l’esclusione: continuando così il programma indiano di vaccinazione non può avere successo».