ll Cara di Isola di Capo Rizzuto presidiato da polizia e militari

«Non è finita qui, ancora non siamo appagati». Per Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro, l’inchiesta sul centro d’accoglienza richiedenti asilo (Cara) più grande d’Europa non si chiude con i 68 arresti del 15 maggio. Aver sgominato la ‘ndrina guidata dalla famiglia Arena non basta. Come non basta aver arrestato il capo della Misericordia di Isola di Capo Rizzuto, Leonardo Sacco, che avrebbe gestito il Cara per conto della cosca. Adesso le indagini devono proseguire per scoprire chi, per negligenza o collusione, avrebbe permesso che appalti del valore di 36 milioni di euro fossero assegnati a persone e aziende già in odore di ‘ndrangheta.

Occhi chiusi – Già perché, come ha dichiarato Gratteri in conferenza stampa, «è da dieci anni che il Cara è gestito in modo mafioso dalla famiglia Arena». E, prima della procura, alcuni giornalisti si erano accorti che qualcosa non quadrava. Giovanni Tizian, cronista de L’Espresso e autore di numerose inchieste sulla ‘ndrangheta, è fra questi. «I sospetti sulla Misericordia e sulla gestione dei centri di accoglienza di Crotone e Lampedusa risalgono al lontano 2007: prefettura e uffici ministeriali avrebbero dovuto esserne al corrente», dice Tizian nell’intervista a La Sestina. Se il sistema malavitoso ha potuto sopravvivere e prosperare, allora, qualcuno deve aver omesso di vigilare o, peggio, deve aver chiuso un occhio. Forse tutte due. «Prima nel 2010 del catering al Cara si occupava la Vecchia Locanda, una società poi interdetta per mafia», aggiunge il giornalista, «dopo l’interdizione Sacco scelse un’altra ditta: peccato che anche questa fosse legata da vincoli di parentela a quella precedente». A suo parere, «se una prefettura non si accorge di queste irregolarità, è evidente che c’è stato perlomeno un buco nella vigilanza. Ed è in questa direzione, penso, che Gratteri vorrà approfondire le indagini».

Tempi tecnici – Viene però da chiedersi perché per arrivare all’inchiesta di Gratteri ci sia voluto tanto tempo. Dieci anni in cui la ‘ndrangheta si è servita della gestione dell’accoglienza come di un bancomat. Eppure è del 2007 la prima informativa dei carabinieri che segnala i rapporti opachi fra Sacco, le imprese di catering e il clan Arena. «Il perché questa indagine sia rimasta bloccata per tanto tempo non si conosce. Io credo e spero che sia legata solo alla difficoltà di trovare elementi solidi per sostenere un’accusa e all’esigenza di evitare fughe di notizie ». Del resto, secondo il cronista, «Sacco godeva in Calabria di grandissime protezioni e influenti amicizie: già dalle carte del suo arresto emergono contatti con personaggi che gli passavano notizie confidenziali sulle indagini in corso».

Accoglienza interessata – Gli appalti per l’accoglienza di profughi e richiedenti asilo rappresentano una voce sempre più importante nel bilancio della criminalità organizzata. «Non c’è solo il Cara di Crotone, le mafie sono coinvolte anche nella gestione di comunità per minori stranieri non accompagnati, nei centri di accoglienza di piccole dimensioni: c’è un mondo di malaffare non solo in Calabria, ma anche in Sicilia e Campania», sostiene Tizian. E, a suo parere, anche dietro alcuni alberghi che si convertono in centri d’accoglienza c’è una mano criminale: «la realizzazione e la gestione di hotel è un settore in cui le mafie erano già forti. Oggi, l’immigrazione è diventata più lucrativa del turismo, anche grazie a un regime di eterna emergenza che allenta i controlli».

Cronache in bilico – La Sestina Tizian descrive anche le difficoltà di un’inchiesta giornalistica sulla criminalità organizzata. «È un lavoro molto delicato perché si rischia sempre di passare dalla parte del torto: come cronisti cerchiamo sempre di arrivare prima, ma si deve stare attenti a non rivelare notizie coperte da segreto istruttorio». Fondamentale è la ricerca a tappeto delle fonti per trovare vie di inchiesta percorribili: «nel mio caso, ho trovato le foto del battesimo in cui Sacco fa da padrino al figlio del boss nelle pieghe di indagini già depositate in Emilia Romagna». Ci sono poi le banche dati che, incrociando le risultanze, consentono di verificare le notizie suggerite dalle fonti e stabilire se un edificio appartenga o meno alla ‘ndrangheta. «È un lavoro complesso che richiede tempo e pazienza».