Il giorno dopo le Elezioni Europee 2019 conferma un dato ben noto sulla politica italiana contemporanea: consensi sempre più fluidi e mancanza di un elettorato di appartenenza. I professori di Scienza Politica dell’Università degli Studi di Milano Nicola Pasini e Fabio Franchino hanno fatto una prima analisi dei dati elettorali e hanno provato formulare delle ipotesi sul quadro italiano e su quello europeo.

Salvini e i sovranisti – Il trend della Lega si è consolidato. «È certamente una grande vittoria di Salvini», ha commentato il professor Pasini, che ha aggiunto «rispetto al 4 marzo i rapporti di forza con i Cinque Stelle sono invertiti, l’agenda è di sicuro in mano sua». Se la vittoria del vicepremier leghista era l’unica certezza di queste elezioni, meno sicura è la strategia che il ministro dell’Interno adotterà con gli alleati di governo. «Salvini potrebbe essere un “nuovo Renzi” ai tempi del 40%: una spallata nel governo lo potrebbe compromettere sul lungo periodo», dice il professor Pasini riguardo alle ipotesi di una possibile rottura con il vicepremier Luigi Di Maio. «Gli italiani non perdonano: sono veloci a salire sul carro del vincitore, ma anche di più a scendere». Se in Italia i sovranisti trionfano, non è così per la gran parte d’Europa. Il professor Franchino riassume così le loro performance: «Non sono andati molto bene. Sono un po’ al palo: rappresentano il quinto gruppo per dimensione, quindi gli altri gruppi non avranno bisogno del loro appoggio per far approvare i dossier legislativi». Restano inoltre in bilico polacchi e ungheresi, che devono scegliere se allearsi con l’Europa delle Nazioni e della Libertà o con il Partito Popolare Europeo.

Il Movimento e la democrazia diretta europea –  Molto diversa la situazione per i Cinque Stelle. «Si trovano in un deserto parlamentare», ha commentato il professor Franchino, ricordando la loro alleanza con il Brexit Party di Nigel Farage, destinato a eclissarsi dal Parlamento. Per non parlare del risultato italiano: un calo drammatico. «L’astensionismo, soprattutto al Sud, ha penalizzato i Cinque Stelle, condizionato anche da un elettorato grillino che non ha mai apprezzato alcune posizioni della Lega», ha sottolineato il professor Pasini. Il Movimento non sembra inoltre trovare una zona di appartenenza solida, avendo «sempre fatto fatica a instaurarsi nelle aree più produttive del Paese».

Il Partito Democratico e gli alleati europei –  Le votazioni hanno mostrato una rimonta del Partito Democratico al 22,7%. Il professor Pasini ha commentato il dato in una doppia prospettiva, chiedendosi se sia una vera “rimonta”: «Dipende. Rispetto alle scorse politiche, di sicuro. Ma rispetto alle Europee del 2014 sono ancora sotto di 17 punti percentuali». Il riassestamento dipende anche da un cambio di rotta rispetto al passato: «La strategia di Zingaretti è opposta a quella renziana: vuole riunire la sinistra massimalista ed eventualmente allearsi con una forza moderata, che però al momento in Italia non esiste». Motivo per cui il suo elettorato, per lo più metropolitano, è ancora motivato da una critica al governo: «Il Pd viene percepito come ultima spiaggia per chi non vuole rientrare nell’agone Lega-Cinque Stelle». In Europa l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, di cui fa parte, sarà determinante per formare una maggioranza assieme al PPE, il partito che ha raccolto più preferenze tra i membri dell’Unione. A cominciare dalla presidenza della Commissione europea, che molto probabilmente andrà al candidato PPE Manfred Weber. Questa nomina, ha ricordato il professor Franchino, non sarà senza conseguenze negli equilibri dell’Unione: «Se il presidente della Commissione sarà tedesco, quello della Banca Centrale probabilmente non lo sarà, per non sbilanciare gli organi dell’Unione. Una nomina così rilevante ha un effetto a cascata sulle altre».