Al potere dal 2010, quando aveva 43 anni. E’ il premier più longevo d’Europa. Aitante e resistente alle intemperie politiche: non a caso gli è stato affibbiato il soprannome di “premier teflon”, la superfice antiaderente perchè nè polemiche nè errori sembrano metterlo in difficoltà. Si tratta del “frugale” Mark Rutte, primo ministro olandese che sta per agguantare il quarto mandato come capo del governo. I risultati delle elezioni legislative dei Paesi Bassi, che si sono svolte dal 15 al 17 marzo, lo davano vincente fin dall’inizio. «Noto che il risultato di queste elezioni è che gli elettori hanno dato al mio partito un massiccio voto di fiducia», ha detto Rutte ai giornalisti nella sede del parlamento all’Aia. Il leader del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia ha ipotizzato un governo di coalizione con I Democratici 66 e il CDA (democristiani) del ministro delle finanze Wopke Hoekstra, che ha vinto 14 seggi. Quello di Rutte non era un risultato scontato, dati gli ultimi episodi che lo hanno visto protagonista.
Un politico perdonato – Una vittoria simbolica quella del suo partito. Un segno inviato dal popolo. Una seconda possibilità dopo lo scivolone. Queste elezioni infatti non arrivano a caso. Sono la diretta conseguenza delle dimissioni rassegnate da Rutte il 15 gennaio scorso, nel bel mezzo della crisi pandemica. Uno scossone per la terra dei tulipani. La decisione fu forzata, ma “unanime”, stando alle parole che il primo ministro uscente rilasciò ai giornalisti due mesi fa, in risposta allo scandalo dei bonus ai figli: il fisco aveva accusato 26.000 famiglie indigenti di aver intascato indebitamente gli aiuti economici dello Stato. Furono costrette a rimborsare le indennità per l’infanzia ricevute nel periodo tra il 2013 ed il 2019. Accuse infondate, che hanno portato al risarcimento degli imputati. Ma, nel frattempo, molte famiglie si erano indebitate dando indietro il denaro. Un’onta per il governo presieduto da Rutte, che poco dopo montò in sella alla bicicletta e andò dritto verso il Palazzo Reale. Lì presentò le dimissioni a re Guglielmo-Alessandro.
Sempre in sella – Un’altra opportunità si diceva. E forse è quel suo essere “normale”, vicino alla gente, ad averlo premiato. Tra le sue cifre caratteristiche c’è proprio la bicicletta. Quando deve spostarsi preferisce pedalare. Non una macchina blu con i vetri oscurati, ma un mezzo che lo mette allo stesso livello dei cittadini comuni. Un’abitudine salutare, una passione individuale ma anche nazionale, che ha contribuito a darne l’immagine di uomo affidabile. Insomma, uno che teoricamente non tradirebbe mai il suo popolo e che ha messo al primo posto il bene pubblico. Della sua vita privata si sa poco. «Non ho tempo», dice. Probabilmente, perché dedica la maggior parte delle ore al lavoro e allo studio dei dossier. Solerte e puntiglioso, governa consapevole del ruolo che riveste. Una questione morale avrebbe detto qualcuno. La stessa questione morale che lo ha spinto a prendere una decisione ferma e sofferta due mesi fa. «Io stesso non ho avuto alcun coinvolgimento diretto, ma ovviamente un coinvolgimento indiretto», affermò per giustificare le sue dimissioni.
La mela, Chopin e il rigorismo – La frugalità è la sua stella polare e in una circostanza ormai nota lo ha ricordato ai Paesi dell’UE. Febbraio 2020: ultimo Consiglio Europeo in presenza per affrontare il primo bilancio pluriennale dopo la Brexit. Rutte arriva al Palazzo Europa, non in bicicletta s’intende, munito di una mela e un libro, una biografia di Chopin. Un armamentario funzionale alla posizione presa prima di arrivare a Bruxelles: nulla poteva essere negoziato e la proposta di bilancio pluriennale della Commissione era inaccettabile per l’Olanda. Il libro sarebbe servito a passare il tempo durante la seduta, tanto era granitico il suo “no”. Dall’altra parte la scelta del frutto, di quel frutto, non era peregrina. La mela è un frutto semplice, che riesce però a placare la fame, diversamente da altri prodotti alimentari. E in quell’occasione rappresentava la parsimonia e la moderatezza, valori cardine per Rutte. Il messaggio del leader camaleontico era dunque uno solo: c’è bisogno di un’Europa che faccia attenzione alle spese. Nel luglio 2020 balzò ancora una volta agli onori della cronaca per alcune affermazioni, rilasciate nell’ambito degli accordi europei sul Recovery Fund, il fondo da 750 miliardi. Per il rigorista olandese, da quel momento divenuto uno dei leader europei tra i meno amati dagli italiani, «i sussidi a fondo perduto del Recovery fund dovrebbero comportare condizioni molto rigide. Questo è l’unico modo per accettarli». Per far fronte alle difficoltà economiche, causate anche dalla pandemia, i paesi meno virtuosi avrebbero dovuto rispettare requisiti stringenti. Alcuni dei quali difficilmente sostenibili per talune nazioni. I soldi sarebbero arrivati solo nel caso in cui fossero state promosse riforme serie. E a proposito di cambiamenti nella politica economica, la chiosa di Rutte sfiorò il pessimismo: «Non credo che questa idea sarà accettata», puntualizzò, «le risposte ottenute finora dagli altri leader Ue non mi fanno sperare sulle possibilità di raggiungere un accordo» al vertice.