«Per me è difficile parlare ma non mi fermerò, ho un debito verso chi è ancora in prigione.» Lo sa bene Asli Erdogan, connessa via Skype. «Non so cosa ne uscirà, ma la mia modalità di guarigione delle ferite passa per la scrittura. Senza la parola mi sento zoppa.» La parola, ancora una volta, al centro della battaglia per la libertà. La cultura come risposta pacifica alla mancanza di giustizia. Un pensiero alla Turchia di oggi: «Scrivo da 18 anni e mi sono sempre dedicata alla Turchia senza diritti, ma ho visto che la repressione dello Stato è ancora più terribile.» La prossima udienza sarà a Marzo, ma ne seguiranno altre. Insieme a lei ci saranno dieci persone. Lo “stato d’eccezione” della Turchia, come viene chiamato, non le permette di viaggiare. Ma lei non si ferma.

Proprio Erdogan, la scrittrice dissidente cui il regime di Ankara vieta di uscire dal Paese, diventa pietra miliare dell’incontro del 12 gennaio. La giornalista turca, per ironia della sorte omonima del padre-padrone della Turchia, è accusata di “propaganda terroristica” e “incitazione al disordine”. Per questi motivi è stata arrestata, con altri colleghi del quotidiano filo curdo Özgür Gündem, il 16 agosto scorso. Rilasciata dopo 136 giorni di carcere, è ora sotto processo.

«La situazione turca al momento è la più drammatica, a mio parere, e porta al suo interno i tratti di tutti i conflitti contemporanei tra libertà e misure liberticide. La repressione verso chi si fa sentire è sotto gli occhi di tutti, non è terrorismo. Simboleggia la lotta verso qualsiasi blocco alla libertà d’espressione.» dice Marino Sinibaldi, giornalista e scrittore. E continua, «I Paesi liberticidi sono più di quanti si creda e abbiamo provato a farne una mappa. Alcuni di essi sono l’Etiopia, le Filippine, l’Egitto, Israele, l’Iran, l’Uzbekistan… e la Turchia. Le motivazioni sono varie. Alcuni Stati possono addirittura avere forme simil democratiche e vengono indicati con il neologismo “democrature”.»

Da sinistra: Marino Sinibaldi e Pianr Selek

«In Turchia, gli intellettuali stanno trasformando la società a partire dal basso.» dice sorridendo Pinar Selek, sociologa e scrittrice turca da anni residente in Francia. «La solidarietà anche da lontano è essenziale. Si deve resistere. La resistenza è molto importante perché si deve continuare a creare. Anche la cooperazione internazionale è uno strumento fondamentale. Asli deve uscire dalla Turchia per continuare la sua arte.»

«Non si muore solo in Turchia per quanto scritto. Ma anche da noi.» dice Lirio Abbate, giornalista de L’Espresso che vive sotto scorta. «I giornalisti in Italia sono stati uccisi dalla mafia. Otto solo in Sicilia. Perché scrivevano. Sapevano. Quando la gioia nel portare conoscenza diventa minaccia, il pensiero ne risente. Molti giornalisti stanno subendo questa situazione. La criminalità organizzata ha capito che deve imporre la forza sul pensiero, sulla parola perché è un’arma che crea memoria.» Abbate conclude, «Il giornalista “da noi” viene assassinato perché portatore di democrazia e analisi.»

La parola, la scrittura, così come il pensiero devono essere centrali nella restaurazione di regimi più giusti. Un nuovo Illuminismo per sconfiggere il buio della repressione e del silenzio. Anche in Turchia.