Margrethe Vestager

Abuso di posizione dominante sul mercato. È questa l’accusa che arriva da Bruxelles nei confronti di Google, emersa al termine di un’inchiesta della Commissione europea durata due anni. «Abbiamo scoperto che Google potrebbe aver abusato della sua posizione dominante favorendo i propri servizi adtech (servizi di inserzione pubblicitaria online, NdR)», ha detto Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione e responsabile delle politiche sulla concorrenza. Ora la palla passa all’azienda, che dovrà visionare il fascicolo e poi chiedere un’audizione per rispondere del proprio operato. Se dovesse venire confermata la tesi della Commissione, il gigante californiano potrebbe andare incontro a diverse sanzioni. Nel frattempo, a Strasburgo il Parlamento europeo ha votato il testo del regolamento sull’intelligenza artificiale: «Un momento storico», l’ha definito sempre Vestager, perché l’Ue è il primo soggetto al mondo ad approvare un provvedimento legislativo sul tema.

Conflitto di interessi – L’indagine sui presunti comportamenti scorretti da parte di Google era stata avviata dalla Commissione europea nel 2021. Nel mirino di Bruxelles è finito il doppio ruolo che l’azienda di Mountain View gioca nel mercato delle inserzioni pubblicitarie online: Google ha la particolarità di rappresentare sia gli interessi degli acquirenti degli spazi di advertising, sia quelli dei venditori di essi. Una duplice presenza nel settore che rappresenterebbe, secondo quanto notificato dalla Commissione, una minaccia per la libera concorrenza. Google, che è il motore di ricerca più diffuso al mondo, viene pagato dalle imprese per ospitare pubblicità sui siti di cui è proprietaria ma anche per inserirle in altri siti che gli utenti del web raggiungono proprio grazie alla navigazione sul motore. Grazie a questa funzione di intermediario, Google incassa un’alta percentuale sull’inserzione, mentre l’editore del sito che la ospita riceve una quota più bassa. Il conflitto di interessi denunciato da Vestager sta nel fatto che Google, essendo sia il principale mercato per gli inserzionisti, sia il più importante intermediario, può regolare i prezzi per avvantaggiarsi, spingendo i pubblicitari a sfruttare i propri canali invece che quelli offerti da altre società. Secondo la Commissione europea, Google abuserebbe della propria posizione dominante (intercetta circa il 28% del mercato globale della pubblicità online) dal 2014. In questi anni, l’azienda è stata multata da Bruxelles diverse volte, sempre per pratiche anticoncorrenziali, per un totale di otto miliardi di euro. Google, tra l’altro, è al centro di un’indagine analoga negli Stati Uniti, dove già a gennaio il Dipartimento alla Giustizia aveva presentato una denuncia per pratiche non concorrenziali. Ora, l’azione dell’Ue potrebbe incentivarne una simile negli Usa.

Le possibili sanzioni – La gestione della pubblicità online rappresenta il 79% del fatturato annuale di Google: nel 2022 ha portato nelle sue casse 200 miliardi di dollari. Se dovesse essere dimostrata la tesi di Bruxelles, l’azienda potrebbe essere costretta a pagare una multa fino al 10% del proprio fatturato. La sanzione pecuniaria non è però l’unico rischio per la società del gruppo Alphabet: la Commissione Ue ha comunicato che il conflitto di interesse si risolverebbe solo con la «cessione obbligatoria» da parte di Google di alcuni suoi servizi, cioè quelli destinati alla vendita di spazi pubblicitari, come AdX, Google Ads, DV 360 e DoubleClick for Publishers. Un eventuale danno molto pesante al business della società.

La risposta – Con un comunicato stampa, il vicepresidente di Global Ads di Google, Dan Taylor, ha subito risposto a Bruxelles: «Non condividiamo il punto di vista della Commissione», ha detto, «i nostri strumenti di tecnologia pubblicitaria aiutano i siti e le app a finanziare i propri contenuti e consentono alle aziende di tutte le dimensioni di raggiungere in modo efficace i nuovi clienti». Gli editori, però, non sono d’accordo e vedono di buon occhio l’azione dell’Unione europea. Angela Mills Wade, direttrice dello European Publishers Council, ha commentato: «Accogliamo con favore i significativi progressi compiuti dalla Commissione europea sulle pratiche abusive di Google nel settore della pubblicità in ambito tech».

Intelligenza artificiale – Mentre a Bruxelles teneva banco il caso Google, a Strasburgo il Parlamento europeo approvava in seduta plenaria il testo del regolamento sull’intelligenza artificiale. Il voto (499 favorevoli, 28 contrari e 93 astenuti), è arrivato dopo discussioni durate mesi. Si tratta del primo provvedimento al mondo in questo campo. «Le nuove regole saranno uno standard globale a lungo», ha commentato la presidente del Parlamento Roberta Metsola. La decisione dell’Ue di regolamentare l’intelligenza artificiale è stata dettata, soprattutto, dal rapido sviluppo della tecnologia, da ultimo la comparsa alla fine del 2002 di ChatGPT, il chatbot sviluppato dalla californiana Open Ai. Nel testo del cosiddetto Artificial intelligence act (Ai act), le applicazioni dell’intelligenza artificiale sono state divise in quattro livelli di rischio. Il più alto comprende quelle considerate inaccettabili e contrarie ai diritti fondamentali dei cittadini. È stato chiesto il divieto dell’utilizzo da parte delle forze di polizia di sistemi automatici di riconoscimento facciale in diretta nei luoghi pubblici, così come non sarà consentito l’utilizzo di sistemi che possano influenzare il voto dei cittadini o l’esito delle consultazioni elettorali. L’obiettivo del Parlamento è di far entrare in vigore il provvedimento entro la fine della legislatura, ma tutto dipenderà dal negoziato con Commissione e Consiglio per arrivare a un testo definitivo.