«Il racconto è una forma di giustizia sociale. Non c’è una sentenza, però restituisce memoria, restituisce dignità, ed è importante». Con queste parole Pablo Trincia si avvia verso la conclusione della conferenza: la Sala dei 146, alla IULM, è gremita di persone, soprattutto di giovani. Il pubblico ascolta in silenzio da circa un’ora e mezzo, avvinto, l’aria è da tempo densa di attenzione. È mercoledì 4 dicembre, e dalle 11:00 sta avendo luogo la presentazione di E poi il silenzio. Il disastro di Rigopiano, il podcast – dal 20 novembre disponibile anche come docuserie – che racconta la valanga che il 18 gennaio 2017 travolse l’hotel abruzzese, causando 29 vittime. Il podcast lo racconta in 8 puntate, attraverso una narrazione delicata e immersiva, fatta di testimonianze dei parenti e dei superstiti, del ricorso ad una nutrita documentazione e alla registrazione delle chiamate avvenute nei momenti cruciali successivi alla tragedia.
Proprio in quelle chiamate, peraltro, traspaiono le responsabilità di chi quel disastro avrebbe potuto – e dovuto – prevenirlo, la grave disorganizzazione di un sistema amministrativo impreparato a gestire una situazione d’emergenza simile.
Al talk partecipano anche Debora Campanella, co-autrice del podcast, e Omar Schillaci, produttore di E poi il silenzio per Sky TG24: «In Abruzzo, in quel momento, c’era il cataclisma. Sulla costa l’alluvione, in montagna una nevicata abbondantissima: mancavano i mezzi, mancavano gli spalaneve, mancavano le turbine. Non c’era più l’elettricità in moltissimi comuni. La tempesta perfetta», ricorda Schillaci, rievocando quei giorni di gennaio.
Debora Campanella, che l’intera vicenda l’ha studiata da vicino, sottolinea invece l’impreparazione delle persone che quella tempesta perfetta sapevano benissimo stesse per arrivare: «Non si sono né preparate né organizzate. Avevano tutte le informazioni necessarie. Doveva già esserci l’esercito, in Abruzzo. Questo è ingiustificabile».

 

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La sentenza – Nel pomeriggio di martedì 3 dicembre, tra l’altro, la vicenda giudiziaria di Rigopiano è arrivata a un nuovo punto di svolta: i giudici di Cassazione hanno confermato la condanna a un anno e otto mesi per l’ex prefetto di Pescara, accusato di rifiuto d’atti d’ufficio e falso. Oltre a lui, la Suprema corte ha anche rinviato a giudizio sei ex dirigenti della Regione Abruzzo che erano stati assolti nei due precedenti gradi di giudizio e disposto un nuovo processo d’appello per l’ex sindaco di Farindola, “riaprendo” così, dopo sette anni, il caso Rigopiano.

Gli altri temi – Il dibattito, che si è svolto nel contesto della 34esima edizione del Noir in festival di Milano, ha toccato anche altri argomenti: dalla costruzione narrativa di un podcast al taglio giornalistico del racconto, sempre tra oggettività ed empatia; dalla scelta del titolo alla multimedialità del binomio podcast-docuserie, passando per il tema dell’universalità delle vicende raccontate. «Queste storie non sono lontane da noi. In realtà sono molto più vicine di quanto si pensi. Facciamo sempre affidamento che le persone che si devono prendere cura della nostra sicurezza lo facciano e si impegnino, e non è sempre così. Magari attraversiamo un ponte per andare al mare e non sappiamo che quel ponte sta scricchiolando sotto le ruote della nostra macchina», aggiunge Debora Campanella, riferendosi all’altra tragica vicenda del crollo del ponte Morandi a Genova.
Fra gli argomenti trattati, anche la scelta della storia stessa da raccontare. «Innanzitutto, dovremmo innamorarci della storia. La storia ti deve chiamare, devi sentirla. Sembra una banalità, ma è centrale, perché questo mestiere lo fai bene solo se le cose ti interessano, se ti accendono», consiglia Trincia.