La speranza, cantava Renato Zero, è che dopo un inverno di “noia e di piogge” ci siano sempre “nuove spiagge”. Quest’anno non sarà così. O almeno, non è detto. «Gli italiani non passeranno l’estate sui balconi e potranno andare in vacanza» ha detto il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Sì, ma come? Gli stabilimenti balneari si stanno preparando da settimane e qualche “governatore”, come Giovanni Toti (Liguria), ha già anticipato il Governo aprendo i lidi già dal prossimo 18 maggio. Gli stabilimenti le stanno pensando tutte: dai braccialetti elettronici che segnalano la distanza a Gallipoli alle app per prenotare i posti sulla spiaggia di Capalbio fino ai “pass” per la spiaggia di Rimini e della Costa Smeralda. Eppure, seppur con qualche difficoltà e accorgimento, nei “bagni” si potrà andare. A preoccupare davvero gli amministratori locali e molti italiani è ciò che rende “democratico” e accessibile il mare: le spiagge libere.

Come altri settori, l’emergenza da Covid-19 sta facendo venire al pettine il nodo dei nostri 7.500 chilometri di costa: lo strapotere degli stabilimenti balneari e il declassamento delle spiagge libere, considerate per lo più di Serie “B”. Secondo l’ultimo report di Legambiente relativo al 2019, le spiagge libere sono meno del 50% delle nostre coste sabbiose, di cui il 10% è interdetto alla balneazione per inquinamento o perché vicina a fiumi, fossi e fognature. E negli anni gli stabilimenti stanno conquistando sempre più chilometri di costa. Così la necessità emergenziale di far rispettare il distanziamento sociale, l’obbligo delle mascherine e la necessità di evitare assembramenti farà prevalere quelle spiagge che possono essere controllate tramite protocolli specifici. Tradotto: più stabilimenti, meno spiagge libere. «Capisco il problema ma non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca – spiega il sindaco di Viareggio, Giorgio Del Ghingaro – se gli italiani vogliono andare al mare quest’anno lo devono fare in sicurezza e quindi ci vogliono i controlli: non sarà l’estate in cui i bagnanti potranno andare allo sbaraglio. Così si rischia una risalita dei contagi».

Stabilimenti e spiaggia libera a Palermo (Ansa)

Il salasso degli “steward da spiaggia”: 320 milioni – Il protocollo del Comitato Tecnico Scientifico sulle spiagge arriverà presto e basterà che i proprietari degli stabilimenti balneari vi si attengano; dall’altra parte, il metro e 80 di distanza tra ombrelloni e lettini, l’obbligo di mascherine anche in spiaggia e il take away per i clienti saranno tutte chimere nelle spiagge libere. Nessuno potrà farle rispettare: in tempi normali, i bagnanti vengono “controllati” in acqua solo dai bagnini (uno ogni 100 metri di battigia) mentre per far rispettare le norme servirebbero decine e decine di vigilantes destinati solo al controllo delle spiagge. Anche ammettendo che ci sia una disponibilità di “controllori” privati, non ci sono i soldi.

In base alle tariffe di tre stabilimenti balneari nelle più famose località estive d’Italia – il bagno Piero di Forte dei Marmi (Lucca), il Sauro 286 di Milano Marittima (Ravenna) e il Lido Cala San Giovanni di Polignano a Mare (Bari) – un vigilante costa tra 10 e 20 euro l’ora a seconda delle località e del servizio offerto. I proprietari degli stabilimenti spiegano che, in media, servirebbe almeno un controllore ogni 50 metri di lunghezza e 80 metri di profondità: come un arbitro in un campo di calcio. Facendo un rapido calcolo, per coprire tutti i 1.500 chilometri di spiaggia libera (escludendo quelli non balneabili) servirebbero 30.000 vigilanti attivi per tutta l’estate con una paga giornaliera di 120 euro lordi. Con questi numeri, il costo per i comuni che hanno la concessione delle spiagge libere sarebbe pari a 330 milioni. Tre volte di più rispetto a quanto lo Stato incassa dalle concessioni dagli stabilimenti. E considerando che le casse dei comuni piangono per il rinvio delle tasse, sarà molto difficile trovare i soldi per pagare questi “steward da spiaggia”.

Il mare interdetto a Ostia (Ansa/Claudio Peri)

Così i sindaci hanno già iniziato a battere cassa: i primi cittadini della costiera marchigiana si sono visti nei giorni scorsi per chiedere alla Regione di approvare un pacchetto di aiuti per garantire la vigilanza negli stabilimenti e nelle spiagge libere. «Il governo è fiducioso che gli italiani faranno le vacanze lungo la penisola ma poi nessuno ci aiuta – attacca Maurizio Mangialardi, sindaco Pd di Senigallia e presidente Anci Marche – chiediamo alla Regione di approvare un pacchetto per sostenere il settore marittimo. Non basta aprire gli stabilimenti: i comuni così non riusciranno a sostenere i costi delle spiagge libere». La stessa richiesta è arrivata nei giorni scorsi durante un incontro tra i sindaci abruzzesi e gli assessori regionali Mauro Febbo e Nicola Campitelli.

 

Le spiagge divorate dagli stabilimenti – Ma l’altro pericolo che minaccia le spiagge libere riguarda lo spazio: gli stabilimenti balneari, per mantenere lo stesso numero di clienti, dovranno aumentare per forza maggiore la propria estensione chiedendo un ampliamento delle concessioni balneari. E molte Regioni – come il Lazio – hanno già annunciato che non si opporranno a questa opzione, per non far morire i balneari. Con quale risultato? La spiaggia “guadagnata” dagli stabilimenti sarà tolta alla costa con accesso libero. In Toscana, per fare solo un esempio, Legambiente stima che sui circa 200 chilometri di costa, le spiagge libere potrebbero perderne tra i 40 e i 50, pari a un quarto del totale. Con un impatto non solo ambientale (più cemento, più inquinamento) ma anche economico sulle tasche dei cittadini che vogliono andare al mare: meno spiagge libere significa più costi per pagare gli stabilimenti. E così al mare potrà andare solo chi se lo può permettere con una nuova discriminazione di censo. Una condizione denunciata nei giorni scorsi da molti sindaci: «L’accesso al mare non può avvenire per censo – ha detto nei giorni scorsi il primo cittadino di Cerveteri, Franco Pascucci – e si deve lavorare per trovare un soluzione che garantisca a ciascun cittadini di usufruire del mare nei modi che verranno stabiliti».

Le concessioni marittime in Italia (Fonte: Legambiente)

A Capalbio, per esempio, lo stabilimento dei vip “L’Ultima Spiaggia” che ogni anno ospita politici (Giulio Napolitano, Francesco Rutelli e Franco Bassanini), intellettuali e giornalisti, ha già chiesto al Comune di poter raddoppiare la propria concessione. «Abbiamo deciso di mettere ombrelloni e lettini a distanza di tre metri l’uno dall’altro – spiega il proprietario Adalberto Sabbatini – e per questo abbiamo bisogno di più spazio. E’ inevitabile». Il risultato è presto detto: nelle Regioni, come Liguria ed Emilia-Romagna, dove già oggi la costa è in mano agli stabilimenti balneari con punte del 70-80%, la possibilità di godersi il mare liberamente sarà ridotta al lumicino, mentre in quelle dove il rapporto è più equilibrato, il vantaggio dei balneari diventerà più evidente.

Per questo, il governo e il Parlamento se ne stanno occupando proprio in questi giorni. E non è un caso, visto che in palio ci sono tanti soldi: un giro totale di 15 miliardi di euro per le concessioni balneari secondo l’ufficio studi di Nomisma. Il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, ha proposto di inserire la proroga delle concessioni marittime fino al 2033 nel “decreto aprile”, ormai diventato decreto maggio, ma non è detto che finisca nel testo finale ancora da varare. Alla fine del 2018 era stata una norma inserita da Lega e M5S nella legge di Stabilità a prorogare tutte le concessioni per quindici anni rinviando l’entrata in vigore della direttiva Bolkestein che obbligherebbe i Comuni a mettere a gara le concessioni balneari, ma negli ultimi due anni molti sindaci hanno deciso di non rispettare la norma: per questo adesso il governo Conte ritiene di dover inserire per legge una proroga automatica fino al 2033. Così le associazioni ambientaliste e quelle che difendono il “Mare Libero” denunciano il possibile «regalo» ai proprietari degli stabilimenti: «L’emergenza del Covid-19 non può essere un alibi per prorogare la misura per 15 anni – dice Fausto Farruzza, presidente di Legambiente Toscana – poteva andare bene una misura provvisoria ma così lunga non è giustificata».