L’operazione Warp Speed del presidente americano Donald Trump vuole unire gli sforzi di privati, agenzie governative e forze armate per arrivare a un vaccino contro il Covid-19 entro l’anno. Il primo ministro inglese Boris Johnson invece afferma che una profilassi potrebbe non arrivare mai e che si dovrà convivere col virus a tempo indeterminato. Tra i due le dichiarazioni del ministro francese della Ricerca Frederique Vidal: l’impegno globale dovrebbe dare i suoi frutti non prima di 18 mesi. L’incertezza sulla soluzione definitiva contro il virus insomma domina, mentre l’Europa muove i primi passi fuori dalla fase peggiore del contagio. Quanto detto dal ministro transalpino sembra comunque essere la tempistica accettata dalla comunità scientifica, come ricorda il virologo Guido Silvestri su Medicalfacts, il sito diretto dal collega Roberto Burioni.
OTTO RICERCHE CONTRO IL VIRUS – Ad oggi sul sito dell’Organizzazione mondiale della Sanità sono indicate otto ricerche entrate già nella fase clinica, portate avanti soprattutto in Cina. Nel Paese d’origine della pandemia sono attivi gli studi dell’Istituto di biotecnologie di Pechino insieme alla CanSino Biological Inc, dell’Istituto di prodotti biologici di Wuhan e del suo omologo di Pechino insieme alla Sinopharm e della Sinovac. Dall’altro lato del Pacifico invece troviamo l’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive insieme all’azienda Moderna e il tentativo solitario della Inovio Pharmaceuticals. In Europa invece portano avanti ricerche promettenti l’Università di Oxford con l’italiana Advent e la società tedesca BioNTech con la statunitense Pfizer e la cinese Fosun Pharma. Inoltre l’Oms registra oltre un centinaio di progetti ancora in fase preclinica.
Tutta la ricerca scientifica sui farmaci si divide in fase preclinica e clinica. La prima è teorica: analizzando il patogeno, in questo caso il Covid-19, si ragiona su quali strade seguire per creare un vaccino. Se da questa fase emerge un’ipotesi solida, si passa alla verifica sperimentale, cioè la fase clinica, che si suddivide in tre passaggi: in vitro, in vivo con animali e sull’uomo. Ad ogni passaggio i test possono dare esito negativo e la molecola venire scartata. Un altro scoglio è poi l’approvazione da parte degli enti regolatori, diversi per ogni Stato: negli Usa è la Food and drug administration (FDA), per l’Unione europea l’Agenzia europea per i medicinali (EMA). Anche se sicuramente le procedure verranno snellite a causa dell’emergenza, di solito tra l’esito positivo e definitivo della ricerca e l’autorizzazione a commerciare un farmaco possono passare uno o due anni, durante i quali si fanno ulteriori test sulla mancanza di effetti collaterali gravi. Infine, quand’anche il vaccino sarà ricercato e prodotto, bisognerà produrlo in centinaia di milioni di dosi, se non miliardi, attività che richiederà altro tempo e investimenti.
A CHI SPETTA IL VACCINO? – Proprio il tempo che intercorrerà fra la scoperta e la distribuzione in massa pone la questione della destinazione delle prime scorte. I potenti della Terra si stanno dividendo tra chi afferma che il vaccino sia un bene universale da dare a tutto il mondo allo stesso tempo e chi difende il diritto dei maggior finanziatori della ricerca a riceverlo per primi. Il caso della casa farmaceutica Sanofi ha scatenato un caso diplomatica fra Stati Uniti e Francia. La società francese sta collaborando con il governo americano, da cui ha ricevuto un grosso sostegno economico per sviluppare il vaccino. La posizione ufficiale dell’azienda è che «la produzione negli Stati Uniti sarà principalmente dedicata agli Stati Uniti e il resto della capacità di produzione coprirà l’Europa e il resto del mondo» e il suo direttore generale Paul Hudson ha confermato: «Gli Stati Uniti avranno la maggior parte dei pre-ordini, hanno investito per proteggere la loro popolazione». Non si sono fatte attendere le reazioni. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato: «Il vaccino è un bene pubblico che deve essere fuori dalle logiche di mercato, serve una risposta multilaterale coordinata per rendere il vaccino disponibile a tutti allo stesso tempo». Gli ha fatto eco Stefan de Keersmaecker, portavoce della Commissione europea, sostenendo: «Il vaccino per il Covid-19 deve essere un bene pubblico e il suo accesso deve essere equo e universale». Intanto Boris Johnson ha già prenotato per il Regno Unito un terzo della possibile produzione del vaccino in studio all’università di Oxford, che in caso di ricerca coronata da successo sarebbe prodotto dalla multinazionale inglese AstraZeneca.
COSA SONO I VACCINI – Detta in breve, i vaccini sono un ‘corso d’aggiornamento’ per il nostro sistema immunitario per imparare a riconoscere il virus e distruggerlo. Si tratta dello stesso processo che rende impossibile contrarre due volte in vita la maggior parte delle malattie: venuti a conoscenza del virus durante il primo contagio, i nostri anticorpi possono correre ai ripari appena si manifestasse di nuovo. I vaccini permettono di avere questa protezione saltando la pericolosa fase della malattia vera e propria. Per questo i primi vaccini della storia inoculavano direttamente versione indebolite del virus come allenamento del sistema immunitario. Con l’avanzare del progresso scientifico è diventato possibile iniettare parti sempre più piccole e innocue degli agenti patogeni. Contro il Covid-19 sono in studio diversi modi per presentare al nostro corpo senza farlo ammalare: dai semplici virus attenuati o inattivati a vie più complesse come l’impiego di vettori virali, di frammenti di acidi nucleici (DNA e RNA) o proteine specifiche da essi derivate. Inoltre non tutti i vaccini sono uguali. La situazione migliore sarebbe trovare un vaccino che funziona come quello contro il morbillo: una sola puntura e si è protetti per tutta la vita. Potrebbe essere possibile però un esito diverso: ad esempio potrebbe risultare un vaccino efficace nella difesa ma con la necessità di essere rifatto a intervalli regolari, come quello per il tetano che va ripetuto ogni 10 anni. Infine potrebbe essere scoperto un farmaco funzionale solo a evitare gli esiti peggiori, la polmonite e il ricovero, ma non del tutto incapace di impedire l’infezione e quindi il propagarsi del virus. Come ha ricordato Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Padova, in un’intervista per l’Osservatorio malattie rare: «L’investimento nei vaccini è fondamentale, dal momento che essi si sono rivelati lo strumento più efficace, in termini di costi e implementazione, per combattere una malattia infettiva. Tuttavia, non è possibile sviluppare vaccini contro tutte le malattie infettive. In questo momento vengono riposte troppe aspettative in un vaccino contro il covid-19 e ciò non può non destare preoccupazione, dal momento che la corsa al suo sviluppo è un percorso accidentato, molto lungo e, soprattutto, non necessariamente coronato dal successo. Al momento il vaccino rimane solo un’ipotesi, mentre la tracciabilità di massa è l’unica arma concreta di cui disponiamo». Pertanto l’unica certezza che la scienza fornisce in questo momento è proseguire con la tracciabilità dei contatti e l’uso corretto dei dispositivi di protezione individuale come le mascherine.
IL CONTRIBUTO ITALIANO – La società Advent del gruppo Irbm di Pomezia, che vanta in curriculum il vaccino contro l’epidemia africana di ebola del 2014, è in prima linea nella lotta al virus insieme all’università di Oxford. La linea di ricerca seguita è quella innovativa del vaccino genetico, che permette risposte immunitarie più efficaci e rapide. A differenza dei vaccini classici che iniettano il virus per intero, benché reso sicuro, i vaccini genetici mettono a contatto il sistema immunitario soltanto con la specifica parte di DNA virale che produce la proteina che si vuole combattere. Così gli anticorpi si risparmiano la fase di attacco, analisi e distruzione del virus e cominciano subito a produrre la giusta molecola per la sconfitta definitiva dell’aggressore. Il problema è che il pezzo isolato di DNA virale da solo non può penetrare nei globuli bianchi mettendosi così a disposizione, per modo di dire, del nostro sistema immunitario. Qui arriva in soccorso la ricerca italiana di Advent sugli adenovirus. Si tratta di virus piccoli, facili da modificare e innocui per l’uomo. Ad essi viene, tramite ingegneria genetica, impiantata la parte di DNA responsabile non del covid-19 nel suo complesso, ma soltanto quella della ‘proteina-arpione’ che il coronavirus utilizza per attaccare le cellule umane. E questa frazione di DNA viene messa al posto di quella che serve all’adenovirus per moltiplicarsi, impedendo quindi ogni possibile perdita di controllo del processo. L’adenovirus geneticamente modificato con la ‘proteina-arpione’ del Covid-19 può quindi essere iniettato, in linea teorica, nell’essere umano. Lì si farà catturare dai globuli bianchi, i quali avranno subito a disposizione la proteina giusta da imparare ad annullare in caso di attacco all’organismo da parte di un vero coronavirus. La grande capacità di Advent di riprodurre in laboratorio questo tipo di virus ha permesso all’università di Oxford di procedere in fretta con le sperimentazioni e i test, arrivando a una promettente fase di ricerca sull’uomo.