Il governo coreano, come quello cinese, taiwanese e singaporiano (ma, questi, con risultati meno positivi), ha autorizzato l’applicazione di un tracciamento totale gps e bluetooth della popolazione per ricostruire la catena dei contagi. La penisola non è arrivata impreparata all’emergenza sanitaria del 2019-2020, sia da un punto di vista di percezione del rischio sia per l’ordine delle priorità in eventuali situazioni straordinarie: all’interno del Paese, a seguito dell’emergenza sanitaria scatenata dall’influenza Mers del 2015, era già stata passata una legislazione che permetta esplicitamente alle autorità di rendere pubbliche le informazioni relative al tracciamento fisico e digitale delle persone entrate in contatto con gli infetti (viaggiatori compresi). Il fatto che il 90 percento della popolazione sudcoreana (quasi 46 milioni di persone su 51) abbia uno smartphone ha aiutato.

I dati sui pazienti Covid-19 sono stati resi disponibili per i cittadini, a cui arriva un messaggio quando si avvicinano alle aree di contagio, ma anche per chiunque volesse informarsi sull’andamento della diffusione della malattia: questi sono reperibili su un portale del Governo in costante aggiornamento. La ricchezza di dati leciti e precisi ha spinto anche gli sviluppatori del settore privato ad avvicinarsene come a un’opportunità. Presto hanno cominciato a programmare applicazioni per smartphone su misura per l’emergenza coronavirus, e il panorama è diventato ricchissimo in breve tempo: ci sono app che tracciano i movimenti dei positivi, anche grazie a telecamere di sorveglianza e movimenti delle carte di credito, e sistemi che monitorano gli spostamenti di chi è stato posto in quarantena. Una delle app più utilizzate è Corona 100m: questa, che prende il nome dall’avviso che invia agli utenti quando entrano a 100 metri da un luogo visitato da una persona positiva al virus, mostra la posizione dei pazienti infetti, la data in cui sono stati confermati tali, la loro nazionalità, il sesso e l’età. È stata scaricata un milione di volte nei primi dieci giorni dal lancio.

Colpisce l’opinione pubblica delle nazioni occidentali il fatto che la democrazia sudcoreana abbia dato assoluta priorità alla sicurezza e alla sopravvivenza dei cittadini a discapito della protezione dei loro dati, del diritto alla privacy e all’autodeterminazione dei singoli. Non ci hanno pensato a inizio contagio e non ci pensano oggi mentre la crescita di una seconda ondata sembra giustificare ogni mossa.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali, mantenere un alto grado di fiducia incondizionata non è banale, nemmeno in un Paese collettivistico e apparentemente compatto come la Corea del Sud. I messaggi che continuano ad arrivare sui contagi, almeno uno al giorno, stanno sfiancando e irritando la popolazione. Secondo uno studio del Dipartimento di Management Science and Systems dell’Università di Buffalo, che registra l’efficacia degli allarmi in base al tipo di emergenza e alla percezione dei singoli, i riceventi stanno diventando esasperati dal flusso degli avvisi e sono sottoposti a un’aspettativa sociale altissima. Pressioni che hanno creato una falla nel sistema quasi perfetto: le infrazioni dei giovani nel quartiere di Itaewon, al centro della movida di Seul, hanno indicato locali notturni e bar frequentati dalla comunità lgbt come nuovi focolai della seconda ondata.

Ma tutto questo è replicabile in Europa e in Italia? Molti Paesi europei e non solo si stanno preoccupando di ammorbidire gradualmente le misure restrittive – un po’ per far ripartire la produzione nell’ombra di una grande recessione economica, un po’ per contenere lo scontento spesso sfociato in protesta. Tutto questo senza avviare una nuova ondata. Non sembra sufficiente limitare gli spostamenti di chi ha febbre o tosse: gli studi confermano la parzialità dell’efficacia della quarantena per i singoli con sintomi più o meno gravi, dato che più di metà delle infezioni nascono in portatori contagiosi anche in totale assenza di segnali.

Le Costituzioni europee prevedono in gran parte che i diritti fondamentali dei cittadini non possano essere messi in conflitto tra loro, e tra questi quello italiano. Gli esperti di ambito scientifico ed economico propongono di superare questo scoglio con una giustificazione di forza maggiore, ma una domanda rimane e inibisce molte democrazie, sia a livello di governo sia di cittadinanza: come si può controllare e garantire che questi dati siano utilizzati per questo solo scopo? E come si può obbligare qualcuno a fidarsi e riportare dei dati anche molto personali?

Se gli Indicatori di Governance Sostenibile (SGI) di Bertelsmann Stiftung assegnano alla Corea del Sud otto punti su dieci per utilizzo e riutilizzo dei dati, non le danno un punteggio altrettanto alto per la loro protezione: cinque punti, sempre su dieci. Nonostante il Paese abbia una legge per la protezione dei dati, il Pipa (Personal Information Protection Act), se paragonato con l’europeo Gdpr (Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) risulta estremamente debole, specialmente nei confronti del settore privato: non esiste il diritto all’oblio e al rifiuto personale di sottoporsi a profiling, e in ultima analisi il percorso dei contagiati potrebbe rivelare la loro identità. Il ministro degli Esteri sudcoreano Kang Kyung-wha ha detto in un’intervista alla Bbc che avendo gestito l’emergenza con trasparenza hanno «guadagnato il pieno supporto e la fiducia del pubblico», anche se si accorge che questo approccio potrebbe non essere replicabile in altri Paesi «con strutture e valori diversi». Come per Immuni, l’app scelta dal governo italiano per il rintraccio dei contagi, molte applicazioni previste e in attuazione in Europa sono facoltative e anonime, si limitano a registrare la prossimità e la durata dei contatti tra persone per un periodo di tempo limitato (senza quindi seguire le persone indefinitamente). Tutto deve ricadere nell’ambito del Gdpr.

Ricercatori e sviluppatori da una trentina di organizzazioni e compagnie del continente avevano cercato di creare un nuovo standard pan-europeo di tracciamento dei telefoni mobili, il cosiddetto Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing, che però ha lasciato perplessi molti fin dall’inizio per lo stoccaggio centralizzato dei dati raccolti (contro cui si erano espressi governi e aziende). Si è ritornati al punto di partenza: guadagnarsi la fiducia dei cittadini.

Su questo versante sono stati Google e Facebook a fornire ai governi le loro indicazioni per l’interfaccia delle applicazioni di tracciamento. Gli obiettivi sono due: rendere l’utilizzo più familiare da un lato, e associarlo a un’idea di affidabilità dall’altro (con buona pace ai processi Zuckerberg).
Il modello è frutto di un accordo siglato dai due giganti californiani il 10 aprile scorso, ed è quello che adotterà anche Immuni per accompagnare la ripresa delle attività sociali e produttive durante la Fase Due. Mentre Bending Spoons, la società che ha fornito i codici per Immuni, non ha ancora chiarito come funzionerà il sistema di tracciamento – né lo ha fatto il governo – Apple e Google hanno fornito diverse anticipazioni, rilasciando un codice dimostrativo che sarà la base per implementare il loro sistema di notifica.

Se le compagnie americane vogliono dare il proprio contributo, hanno fatto molta attenzione a dichiarare la limitazione dell’utilizzo perché questo guadagno d’immagine non gli si ritorca contro. Realizzati con il permesso di autorità sanitarie pubbliche, i sistemi di tracciamento sarebbero inderogabilmente disabilitati alla fine delle pandemia, e i programmi sarebbero finalizzati solo per le app autorizzate. Non solo, tra le condizioni per l’utilizzo ci sarebbe anche il consenso degli utenti prima che le app nazionali possano utilizzare il sistema di Exposure Notification, e sarà necessario chiedere agli utenti il consenso prima di condividere l’eventuale positività al test con le autorità sanitarie. L’app, dicono, dovrà rispettare i criteri di privacy e crittografia raccogliendo solo la quantità minima di dati necessari per il tracciamento dei contagi da Covid-19, mentre non sarà ammessa la geolocalizzazione. Le istituzioni europee sembrano così scegliere la via del consenso e del rispetto della privacy rinunciando, compatte, a un vero controllo dei contagi.