«E adesso come faccio a fare la spesa?» Dopo quasi un mese trascorso in ospedale, Sergio Levrino comincia a fare i conti con le proprie forze. Si sente debole, ma finalmente libero. Fa fatica a stare in piedi e a casa ha giusto un paio di cose per la cena. In casa è solo perché la moglie e la figlia di sette anni sono andate in Piemonte il 7 marzo e torneranno a Milano solo il 17 maggio. Un amico gli aveva parlato di Emergency e del loro progetto di aiuto nei confronti delle persone in difficoltà. Sia di chi non ha modo di uscire di casa per comprare il cibo sia di chi non ha più soldi. Decide di chiamarli.

La vicenda – Il 22 marzo Levrino aveva accusato un fortissimo dolore all’addome. Chiama un amico che arriva subito con l’auto. Il 46 enne di origini piemontesi si siede sul sedile posteriore e in diagonale rispetto a chi lo porterà al pronto soccorso dell’Humanitas di Rozzano. Guanti, mascherina e si parte. I medici gli diagnosticano un’ernia incarcerata con perforazione dell’intestino. Decidono di operarlo d’urgenza, ma prima vogliono controllare se è positivo o meno al Covid per capire se può avere un compagno di stanza. Gli fanno un tampone, ma non c’è tempo per aspettare l’esito. Allora è la volta di una tac che lascia pochi dubbi: polmonite bilaterale atipica. Iniziano l’intervento, bardati con la massima sicurezza. Si risveglia in una stanza da solo, con sonde e tubi. Circa i dolori ha ricordi confusi e non piacevoli, ma inizia la convalescenza. Dopo 15 giorni viene trasferito alla Pio X. In entrambi gli ospedali si è trovato bene. Poi, infine, il 19 aprile viene dimesso. Tanta emozione: «non tanto nel vedere la città vuota, ma nel trovarsi in uno spazio più grande della stanza d’ospedale», racconta.

L’aiuto – Dalla mattina seguente ogni giorno due volontari diversi di Emergency gli fanno la spesa. Lui aveva chiamato il centralino dell’organizzazione umanitaria e subito la sua richiesta era stata smistata ai referenti della sua zona. Gli vengono comunicati i nomi delle due persone che sarebbero arrivate davanti alla sua porta di casa. Una volta giunte fanno una foto ai soldi e li prendono insieme alla lista di cose da comprare. Un po’ di pasta, sugo e le medicine. Portano tutto, mostrano lo scontrino e consegnano i soldi avuti come resto. «Questo servizio è stata una manna dal cielo, mi ha salvato. Nessuno poteva aiutarmi, né gli amici né gli anziani vicini di casa», ricorda riferendosi ai rischi di contagio per sè e gli altri. Per ringraziare voleva fare una donazione in denaro, ma non era possibile. Allora chiede quali siano i beni più richiesti: saponi e pannolini per bambini. Li acquista e li lascia come beni per chi è più in difficoltà. Inoltre, da libraio, decide di regalare a ogni volontario con il quale ha interagito una copia di “L’ignoto ignoto. Le librerie e il piacere di non trovare quello che cercavi” di Mark Forsyth. Per Levrino la pandemia ci ha insegnato che la competenza conta. Sottolinea: «Quello di Emergency non è un servizio di delivery e male che vada il piatto è freddo. Male che vada c’è un ingrediente in più: il virus». Perciò è entusiasta per l’esperienza positiva. Del resto, se l’aspettava dato che l’Ong fondata da Gino Strada ha tenuto aperto in Africa un ospedale per curare i malati di Ebola.

Il Comune di Milano – In questo periodo Emergency lavora a stretto contatto con il Comune che ha creato il Progetto “Milano Aiuta”. Gabriele Rabaiotti, assessore comunale alle Politiche sociali, è soddisfatto: «In questo momento difficile per Milano abbiamo chiesto a tutti di fare la propria parte. Ai cittadini di limitare la socialità e adottare le misure di sicurezza, mentre alle aziende e al privato sociale di aiutarci a mettere insieme una serie di iniziative per supportare i soggetti più fragili. La città ha dimostrato, come sempre, grande generosità. Uno sforzo teso, da un lato, a resistere mettendo in atto tutte le azioni possibili per fermare il contagio e, dall’altro, a prendersi cura di chi si trova nel bisogno». Grazie a Emergency, Arci ed Energie sociali, in due settimane sono state distribuite 300 mila mascherine chirurgiche in 60 mila case popolari (metà gestite dall’Aler e per l’altra da MM). Dal 13 marzo al 28 aprile sono state 9081 le richieste di assistenza arrivate a Milano Aiuta attraverso il numero telefonico 020202. Le prestazioni più richieste sono state spesa e farmaci (5044), servizi sociali professionali (2165), consegna pasti a domicilio (911) e accompagnamenti (484). Le chiamate sono state girate a 70 realtà tra organizzazioni no profit, cooperative e imprese sociali.

Il progetto – Non poche telefonate giunte a Milano Aiuta sono state dirottate ad Emergency. Il 9 marzo diversi volontari dell’Onlus danno la propria disponibilità per rendersi utili durante la pandemia. Ecco la nascita del “Progetto domiciliarità”, di cui Marco Latrecchina è il coordinatore. Prima si occupava di Afghanistan da Milano e ogni quattro mesi andava lì. Gestiva anche progetti in Uganda, Repubblica Centro-Africana e ne stavano aprendo uno in Grecia a Kos per i migranti. Di solito in ufficio nel capoluogo lombardo sono in 150, ma ora per rispettare tutte le precauzioni non possono essere più di 30. Seguono i protocolli usati per Ebola nel 2014 in Sierra Leone. Non sono sicuri che tutti i volontari siano negativi al Covid, ma tutte le istruzioni sono ispirate al peggior scenario possibile: come se tutti siano contagiati. L’attenzione è massima. Mascherina e igienizzazione continua. I guanti non sono obbligatori perché danno una falsa sensazione di sicurezza. Dividono le cose in “pulite” o meno. Appena tocchi un oggetto questo diventa “non pulito”, come le mani, perciò entrambi vanno sanificati.

La sicurezza – Su 400 volontari, solo 3 si sono ammalati. Uno di loro è stato spostato a fare il centralinista da casa. Di solito, però, alle chiamate si risponde dall’ufficio. Dieci operatori – che igienizzano di frequente mouse, tastiera e schermo – verificano dove si trova il chiamante e passano una stringa di dati al team della zona. La modalità operativa è simile a quella del 112, ma l’urgenza non è fondamentale. Puntano a esaurire le richieste entro la giornata (90%), anche se il Comune chiedeva di farlo entro le 48 ore. Per un farmaco salva-vita si attivano più rapidamente. Ogni giorno 250 persone arrivano da chi non può uscire di casa. Molteplici i motivi: positivi al Covid, in isolamento fiduciario, persone con più di 65 anni o a rischio per malattie croniche. Per motivi economici chiamano anche persone che non hanno mai dovuto chiedere nulla. Giovani, precari, persone che lavoravano in nero, badanti, comunità filippina o «persone che si sono trovate con il culo per terra», constata Latrecchina. Da inizio aprile vengono consegnati anche pasti gratuiti, preparati dalle cooperative sociali Gustop e Solidando. Non solo a chi non ha soldi, ma anche a chi non è in grado di cucinare. Perché non ha la cucina o soffre di un disagio psichico. Fino a 130 persone aiutate al giorno. Da qualche giorno è nato il progetto “Nessuno escluso”. I volontari sono gli stessi: da chi non può uscire di casa a chi è in difficoltà. Dato che con il tempo le percentuali si sono invertite.

I volontari – Nonostante durante il lockdown solo agli ultra 65enni fosse sconsigliato di uscire per andare al supermercato, i volontari possono avere tra i 18 e i 40 anni. Così si abbassa il rischio di contagi. Tutti vengono assicurati, dotati di badge e pettorina, e sottoposti a una formazione su Zoom in 100 alla volta. Un corso igienico-sanitario per fare il servizio e un principio da rispettare: non si entra a casa delle persone. Hanno ricevuto più di mille domande, ma poiché non volevano mandare in giro troppe persone ne hanno accettate 400. La disponibilità richiesta è per due-tre mezze giornate alla settimana. In quattro ore si riescono a portare a termine tre servizi. L’obiettivo è dare un messaggio di normalità alle persone aiutate. «Una signora anziana voleva assolutamente tre chilogrammi di mirtilli», racconta Massimo Malara, volontario di Emergency da 11 anni. Voleva preparare una marmellata e hanno girato più posti per accontentarla. All’inizio cercavano di soddisfare tutte le richieste, anche di andare in uno specifico supermercato perché una persona collezionava punti sulla tessera. Hanno comprato anche vino e birra perché altrimenti chi chiamava sarebbe uscito da solo per acquistarli. «La legalità è il nostro limite: sigarette sì, marijuana no», ricorda Malara. Però sono entrati anche nelle case popolari, senza fare distinzioni tra regolari e abusive. Alla protezione civile e ai vigili che giravano con loro dicevano: «noi entriamo, voi restate fuori», per evitare che simbolicamente entrasse lo Stato. Per i pacchi alimentari hanno ricevuto donazioni da tante aziende, sia rivenditori sia produttori. Chiamavano spontaneamente. I supermercati si sono accorti di cosa facevano e gli hanno dato un accesso preferenziale. Anche le società di sharing hanno cercato Emergency, per esempio per dare loro delle moto elettriche per fare le consegne.

Brigate volontarie per l’emergenza – Emergency non ha formato solo i propri volontari, ma anche quelli delle Brigate volontarie per l’emergenza. Valerio Ferrandi è il coordinatore e racconta che dopo aver lanciato una call pubblica sono arrivate centinaia di richieste. All’inizio avevano 150 volontari, mentre ora ne hanno 400 divisi in dodici brigate. Ad alcune delle quali hanno dato nomi di partigiani: Norina Brambilla, Osvaldo e Lia. Il nucleo fondativo proviene dai comitati territoriali e dalle squadre di calcio popolari. Il loro motto è “il popolo che aiuta il popolo”, sono autonomi come forma mentis, ma sono contenti della sinergia che si è creata con Emergency. Hanno scelto il nome di brigata come omaggio alla resistenza, spiega Ferrandi: «Siamo degni, fieri, nipoti dei partigiani. Ma il virus è un nemico diverso, subdolo. Inoltre il nostro è un segno di gratitudine verso le brigate mediche cubane che sono arrivate in Italia». Ora è partita la loro “fase 2”: non più spesa a domicilio, ma recupero e distribuzione di cibo gratuito per i nuovi poveri. Hanno un’etica ben precisa, ma non hanno mai discriminato nessuno. «La solidarietà non ha colore. Vogliamo evitare che la signora Pina faccia la coda di 2 ore al supermercato e rischi di contagiare», sottolinea il coordinatore che fino a febbraio lavorava nel settore eventi. «Siamo incazzati neri per la gestione tragica della sanità da parte della Regione Lombardia. Ma verrà il momento di chiedere conto a chi ha messo in campo politiche scellerate», incalza Ferrandi. Ora sono concentrati sulla “fase 2”, che durerà almeno sei mesi. Perché alla crisi sanitaria, seguirà quella economica.

 

I numeri delle Brigate volontarie