Nella macchina degli aiuti dello Stato alle imprese, qualcosa si è inceppato. A più di un mese dalla sua introduzione, è il momento di fare un bilancio delle garanzie messe in campo dal Decreto liquidità dell’8 aprile scorso. I problemi principali sembra riguardino la richiesta di finanziamenti da parte delle Pmi, la lentezza della burocrazia bancaria e la paura di alcune banche di avere guai in caso di bancarotta dell’impresa. Il Decreto rilancio, annunciato lo scorso mercoledì 13 aprile, non ha portato novità in materia.

Come funziona – Per far fronte all’emergenza coronavirus, il Decreto liquidità ha introdotto un sistema per farsi garante dei prestiti di cui le imprese in difficoltà hanno bisogno. Il meccanismo ha due binari: il Fondo di garanzia per le Pmi gestito dal Mediocredito Centrale e la nuova “Garanzia Italia” in mano alla società Sace. In sostanza, l’impresa chiede il finanziamento alla banca e lo stato garantisce per il 100% se il prestito non supera i 25mila euro. Per farlo deve presentare alla banca un’autocertificazione in cui indica una serie di requisiti che la qualificano come Pmi insieme al fatto di aver subito danni a causa dell’emergenza da Covid-19. La banca può poi chiedere altri documenti all’impresa per avere un quadro dell’azienda più chiaro.

Selva burocratica – I primi problemi sembra arrivino proprio al momento della richiesta dei documenti da parte della banca. Il sindacato bancario Fabi ha segnalato con un dossier che persino per questi finanziamenti garantiti al 100% imprenditori e titolari di partita iva ricevono dalla banca la richiesta di un numero spropositato di carte: da 4 a 21 secondo il tipo di finanziamento e garanzia, contando sia i documenti previsti dal decreto sia quelli domandati dalle banche. Sì, perché ad un Decreto liquidità farraginoso si aggiungono spesso alcune banche che sembra carichino di oneri burocratici l’imprenditore per rendergli inutilmente onerosa la richiesta. Bilanci analitici, dichiarazioni sugli occupati, modelli Irap, modelli Iva. Documenti non sempre semplici da produrre. «Solo alcune banche hanno implementato procedure “quasi automatiche” che permettano di velocizzare l’iter di approvazione» scrive la Fabi nel suo dossier. «Se è vero che, durante il primo contatto, al cliente viene richiesto un riscontro diretto per le sole informazioni essenziali e obbligatorie, a questa fase ne segue spesso un’altra che assomiglia ad una vera e propria istruttoria approfondita».

Telelavoro – La difficoltà di accedere al credito, però, viene anche da altri problemi legati al periodo che il Paese sta vivendo.  «Le banche di tutta Italia sono in smart working e gestire tutte queste richieste non è facile» spiega Gabriele Sportiello, agente finanziario su mandato di un grosso gruppo bancario italiano. «In più molte di queste richieste sono incomplete o superano il tetto dei 25mila euro». Come spesso accade poi, la lettera della legge si scontra con la realtà dello sportello bancario: «Da come si è pubblicizzata questa garanzia sembra quasi che le banche regaleranno i soldi agli imprenditori. Il Governo ne parla come di una procedura immediata, ma non è così» conclude Sportiello.

Numeri – Sace fa sapere, in una nota, che le operazioni richieste nell’ambito della “Garanzia Italia” sono un totale di 250. Per un ammontare di 18,5 miliardi di euro. Queste sono le richieste prese in esame dalle banche e la società spiega che le cifre sono destinate ad aumentare nelle prossime settimane. Quello che è stato soprannominato il “bazooka Sace” dovrebbe poter erogare garanzie su finanziamenti per 200 miliardi di euro.

Banche e bancarotta – C’è però chi è convinto che questa lentezza sia ricercata dalle banche che hanno paura di essere incriminate per concorso in bancarotta nel caso in cui l’impresa finanziata vada appunto in dissesto finanziario. Il timore sembra diffuso tra gli istituti di credito, tanto che nei giorni scorsi l’Associazione bancaria italiana ha chiesto uno “scudo penale” per le banche in modo da velocizzare l’erogazione dei prestiti garantiti dallo Stato. In sintesi, quello che le banche temono è di finanziare un’impresa in dissesto economico per poi finire in tribunale per il solo fatto di essere state a conoscenza della situazione finanziaria dell’azienda cui hanno erogato il prestito prima che fallisse. Sentiamo spesso parlare di bancarotta fraudolenta. In questo caso spesso il rischio per le banche è quello di incorrere in un reato: la bancarotta preferenziale. È il caso dell’imprenditore che viola la par condicio creditorum privilegiando uno dei suoi creditori rispetto ad altri, in questo caso la banca. «A livello astratto è possibile che la banca incorra in responsabilità penale per questo reato in casi del genere. Capita a volte che finanziamenti funzionali a migliorare il livello di garanzia per la banca rispetto a prestiti precedenti vengano all’attenzione dei procuratori» spiega il professore di Diritto penale Federico Consulich. Non è soltanto la bancarotta preferenziale la preoccupazione delle banche, ma anche quella semplice: «Potrebbe accadere che questi finanziamenti consentano all’imprenditore di aggravare il dissesto. In questo modo l’impresa prolunga la sua agonia e aumenta l’esposizione debitoria. In questo caso il banchiere si renderebbe oggettivamente complice dell’aumento della massa di debiti» spiega Consulich. Ovviamente tutto questo non avviene in automatico. Affinché si possa portare in giudizio la banca, è necessario che questa fosse a conoscenza della situazione dell’impresa. Deve avere avuto la chiara percezione che la situazione di tensione finanziaria non era temporanea ma strutturale.

Il tema è complicato e le insidie sembrano essere dietro l’angolo per tutti: banche e imprese. Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi non vede di buon occhio il quadro: «Ho l’impressione che ci si prepari fin d’ora a scaricare le responsabilità su banche e imprese» ha detto in un’intervista al Corriere della sera. A detta di Consulich: «Il tema del concorso in bancarotta non dovrebbe essere risolto sul piano penale con gli “scudi” per i banchieri. La previsione di norme ad hoc per questa o quella categoria aumenta solo la confusione del sistema penale, riportandolo al medioevo, quando ogni categoria personale o professionale aveva un proprio statuto normativo. Bisognava evitare di caricare sul sistema bancario un ruolo che non gli compete: mantenere a galla forzosamente chi sta fallendo. La scelta di ritardare o evitare i fallimenti di impresa in questo periodo è una scelta dello Stato, sia lo Stato a provvedere ai finanziamenti. Altrimenti la banca si trasforma in un’attività pubblica, ma soggetta alle pene dei privati».