In piazza ad Alatri, nel Frusinate, cinque signori chiacchierano sulle  panchine sotto il liceo ormai chiuso da mesi. Ognuno sulla sua, per rispettare la distanza di sicurezza. Quasi tutti indossano una mascherina. «Ne avevo prese un po’ monouso, ma ora le ho finite e non ho trovato le altre da nessuna parte», dice uno di loro.

Distanze di sicurezza rispettate nella Piazza di Alatri

Nelle tre farmacie più vicine non c’è traccia delle mascherine chirurgiche a 0,50 centesimi, la cui vendita dal 4 maggio, primo giorno della fase 2 legata al Coronavirus, era stata garantita dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal commissario straordinario per l’emergenza sanitaria Domenico Arcuri. Quest’ultimo, in una conferenza stampa del 2 maggio, aveva annunciato la presenza dei dispositivi di protezione, a prezzo calmierato, in 50mila punti di vendita grazie a un accordo stipulato con più enti: Federfarma, Assofarm, Associazione Distributori Farmaceutici (Adf), Confcommercio, Federdistribuzione e Coop. 

Scenari molto più affollati della piazza di Alatri sono stati mostrati nell’ultima settimana, soprattutto nelle grandi città. Persone a stretto contatto, a volte senza un’adeguata protezione per naso e bocca. Negligenza? Molto probabile, ma non si può escludere che molti non abbiano potuto indossare una mascherina perché non sono riusciti a trovarla. Se i supermercati delle catene aderenti all’accordo vedono le loro scorte esaurirsi in fretta, in moltissime farmacie le mascherine in questione non arrivano da un po’ di tempo. Praticamente mai da quando è stata decisa la vendita a prezzo calmierato. 

Una delle farmacie di Alatri, priva delle mascherine chirurgiche a 0,50 centesimi

Il caso delle farmacie – «Siamo ancora sprovvisti e non ci hanno fatto sapere nulla su quando saremo riforniti», dicono le farmacie “Isonzo” di Latina e “Manca” di Rieti. È lunedì 11 maggio, una settimana dall’inizio della fase 2, e la situazione nel Lazio, regione dove si è concentrata l’indagine, non è ancora cambiata. Nonostante la scorsa settimana Arcuri abbia avuto un incontro chiarificatore con la distribuzione intermedia farmaceutica, rappresentata da Federfarma Servizi e Adf. I due soggetti avevano dichiarato di avere nei loro magazzini scorte tra i 12 e i 14 milioni di mascherine. Solo in seguito però, ci si è resi conto che potevano esserne vendute solo 3,5 milioni: la maggior parte non aveva ottenuto il marchio d’idoneità CE garantito dall’Istituto Superiore di Sanità. Perché comprarle allora? «Erano acquisti fatti prima dell’emergenza Covid da fornitori abituali, quando non ci si poneva il problema del marchio», commentano da Adf. «Il tempo stretto ha causato quest’incomprensione». Un’ammissione di colpa parziale: «In ogni caso, abbiamo dato fondo alle nostre riserve e siamo in attesa che ci vengano date le altre».

Risolto il malinteso, Arcuri venerdì 8 maggio, come comunicato dalla stessa Adf, ha garantito 3 milioni di nuovi dispositivi protettivi tra Roma, Milano e Torino. La promessa è di arrivare a 10 milioni da metà maggio con cadenza settimanale. Cifre, però, ancora insufficienti: «10 milioni di mascherine servirebbero ogni giorno», spiega Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma (la Federazione delle farmacie, da non confondere con la distributrice Federfarma Servizi). «Le chirurgiche vanno gettate dopo 7/8 ore. Ci siamo battuti in prima persona per la vendita calmierata a causa dello sciacallaggio di alcuni fornitori. Saremmo anche favorevoli a distribuirle gratuitamente per i soggetti a rischio, ma il problema non è il costo, quanto il fatto che non si trovano». Arcuri però si difende, specificando che non è suo compito rifornire le farmacie, ma soltanto la Sanità, le Regioni e i servizi pubblici essenziali. E allora l’accordo raggiunto?

Oltre alla poca disponibilità, l’aliquota Iva sul prodotto è rimasta al 22%, nonostante il governo abbia manifestato l’intenzione di abolirla nella presentazione del Dpcm del 26 aprile. L’operazione dovrebbe essere effettiva soltanto col nuovo decreto economico ancora in fase di preparazione. Ragion per cui il prezzo di vendita è di 0,61 centesimi e non di 0,50.

Una farmacia romana, in zona Piazza Bologna, scherza sull’assenza delle mascherine promesse

Altra protesta nella farmacia “Roma”, in zona Conca d’Oro

La poca chiarezza suscita episodi grotteschi. A Roma, dove la situazione  non è migliore rispetto alle altre province laziali, una farmacia del Municipio III aveva ricevuto la visita di un comando di Polizia Locale che intimava di vendere le mascherine al prezzo pattuito di 0,50 e non a quello di 0,61. Uno scambio di telefonate per risolvere il qui pro quo: i poliziotti non erano a conoscenza dell’Iva ancora attiva. Ma in molte farmacie le mascherine sono ancora troppo poche o inesistenti. L’esercizio “Villa Ada” ha comunicato ai suoi clienti che, data l’impossibilità di ricevere le mascherine promesse dal commissario Arcuri, le avrebbe acquistate per conto suo e poi vendute a  60 centesimi, facendosi carico delle perdite: «Ci siamo rivolti al nostro solito fornitore». Tante sono le farmacie che, anche ironicamente (foto a lato), comunicano ai clienti l’assenza di questo nuovo bene essenziale o che, invece, vendono a prezzi più alti. Se l’accordo raggiunto con Arcuri stabilisce che le farmacie acquistino all’ingrosso ogni pezzo a un prezzo medio di 40 centesimi per non andare in perdita, molti esercizi avevano acquistato a cifre più alte prima che fossero stabiliti questi costi fissi. È stato promesso loro un ristoro nel patto siglato ma, come per le mascherine, ancora non c’è traccia. Così aumentano le tariffe anche per i clienti.

La situazione nei supermercati – Il supermercato, più della farmacia, sembra essere la destinazione migliore per trovare le agognate mascherine. Le catene della grande distribuzione sono rifornite con più frequenza, ma la disponibilità resta limitata per determinati vincoli, spiegati dai commessi di alcuni centri Conad di Frosinone e Roma: «Possiamo avere al massimo 18 confezioni, 12 da 25 e 6 da 50, ma non sono ‘spacchettabili’». Solo in pochi riescono così ad acquistarle, anche perché i nuovi ordini restano settimanali. Nel Carrefour del centro commerciale “La Romanina” della capitale spiegano di aver posto «il limite di tre mascherine acquistabili per persona, altrimenti finiscono subito». Resta il paradosso: «L’ultimo arrivo è di sabato 9 maggio, mentre nella farmacia del complesso ancora non sono mai arrivate». Come si spiega la differenza? La Federdistribuzione comunica che, pur essendo l’interlocutore istituzionale di diversi marchi come Carrefour ed Esselunga, ogni azienda gestisce poi individualmente i propri approvvigionamenti. La cooperativa Pac2000a e la società GS s.p.a, contattate in merito per conto degli esercizi Conad e Carrefour, hanno confermato di avere mascherine in dote, ma non hanno specificato se si tratta di scorte già in possesso da tempo o se siano quelle promesse dalla macchina organizzativa di Arcuri. 

L’annuncio dai suoi social della farmacia “Villa Ada”

L’autarchia delle mascherine – Con un comunicato del 27 aprile, il commissario annunciava i nomi delle prime aziende italiane pronte a contribuire alla produzione dei dispositivi di protezione e alla vendita per 0,38 centesimi ciascuna allo Stato. Le lombarde Fab, Mediberg e Marobe, la siciliana Parmon e la Veneta Distribuzione hanno sottoscritto contratti per garantire 660 milioni di esemplari. Soltanto Mediberg e Fab vantano un’esperienza nel settore, mentre le altre hanno riconvertito la produzione in seguito alla pandemia. La Marobe inoltre, stando a quanto scritto da L’Espresso, avrebbe affermato di vendere al prezzo di medio di 0,46 centesimi. Non sono però noti i termini dei contratti stipulati. Come prosegua la produzione resta un dilemma e anche chi debba poi gestire il trasporto dei prodotti dalle aziende ai punti di vendita o ai distributori intermedi. Fonti vicine ad Arcuri, contattate inizialmente, non hanno fornito una risposta. Secondo Federfarma, l’ultimo carico arrivato l’8 maggio era quasi certamente materiale d’importazione, essendo stato ritirato negli aeroporti di Linate e Fiumicino. L’importazione però, sul quale finora si è basata l’offerta, è sempre più difficile per l’aumento del costo del materiale, il meltblown, e l’obbligo di acquistare a cifre ragionevoli dato il prezzo esiguo della vendita al dettaglio. Per questa ragione molte imprese, che si erano lanciate nel business, si sono momentaneamente ritirate, preoccupate dall’anti-economicità della produzione.

Il sogno autarchico di Arcuri non si è però spento. Dal 12 maggio dovrebbero mettersi progressivamente all’opera le 51 macchine acquistate che, con l’ausilio dei privati, dovrebbero far raggiungere da agosto la quota di 41 milioni di dispositivi protettivi al giorno. 

Esempio di farmacia non allineata agli accordi presi

Ancora sospeso l’accordo con i tabaccai – Per ampliare inoltre la rete distributiva, è stato siglato un ulteriore accordo con la Federazione Italiana Tabaccai, anche se non è ancora entrato in vigore. «Ragioni burocratiche, manca solo la firma», commenta Mario Antonelli, vice-presidente vicario della Federazione e responsabile delle vendite nel centro Italia. «Abbiamo una capillarità maggiore di farmacie e supermercati, siamo in 7400 comuni». Le mascherine non sono comprese nella tabella speciale dei prodotti vendibili dai tabaccai, stabilita da una legge del 1972, ma «un’ordinanza apposita ce lo consentirà. Il nostro fornitore di tabacco, Logista, si rifornirà nei depositi della Protezione Civile, acquistando a una cifra simile a quella stabilita con le farmacie». L’obiettivo è avere un punto vendita ogni 1600 abitanti, comprendendo anche gli altri accordi già citati. Anche questo progetto però, al momento, è fermo alle intenzioni di questa approssimativa fase 2.