Il Covid-19 ha rovinato il 2020 del settore lattiero-caseario italiano. Se il comparto alimentare è uno dei pochi a non essere stato travolto dalla crisi economica innescata dall’emergenza sanitaria, i produttori di latte e derivati hanno visto cambiare in modo importante l’andamento delle vendite. Quelle di alcuni prodotti, come il latte fresco, sono infatti crollate. Il lockdown generale del Paese ha obbligato i consumatori a cambiare drasticamente le proprie abitudini d’acquisto: la necessità di limitare le spese ha spinto a mettere nel carrello più prodotti a lunga conservazione. Ma il problema maggiore è stata la chiusura forzata di bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie, che ha tappato un mercato di sbocco di grandissimo valore per il settore. E, ora che il lockdown è terminato, non si sa con che intensità tornerà a comprare. Per non parlare poi delle incertezze sul fronte esportazioni legate alla situazione sanitaria degli altri Paesi.
Il mondo lattiero-caseario è dunque costretto a rivedere le proprie aspettative. Previsioni che, considerato l’andamento positivo dell’anno scorso e i risultati di gennaio e febbraio, lasciavano ben sperare. Come ricorda il recentissimo rapporto sulle tendenze del settore di Ismea, il 2020 si era aperto con una buona disponibilità di latte e una domanda mondiale molto vivace. Nel 2019 le esportazioni di formaggi e latticini italiani avevano ripreso a correre, facendo registrare il livello record di 3,1 miliardi di euro (+11,2% rispetto al 2018) a fronte di oltre 450 mila tonnellate inviate oltre i confini nazionali (+6,3% rispetto al 2018). E molto positivo è stato anche l’esordio del 2020 per le esportazioni di formaggi italiani (+11% in volume e +12 % in valore rispetto al bimestre gennaio-febbraio 2019).
Sui risultati finali dell’annata peseranno molto i tre mesi di emergenza acuta e le dinamiche del ritorno alla normalità. L’andamento dei consumi interni di prodotti lattiero-caseari nel primo trimestre del 2020, periodo che comprende solo il primo mese di lockdown, riflette quello generale del comparto alimentare con un +7% rispetto delle vendite del primo trimestre 2019. Ma se si entra nel dettaglio emergono i segnali negativi. La situazione più critica riguarda i prodotti freschi, soprattutto la mozzarella, latte fresco e le materie grasse come burro e creme, che sono stati tra i prodotti più colpiti dalla chiusura di ristoranti, pizzerie, bar e pasticcerie. Fa da contraltare la crescita per i consumi di latte a lunga conservazione che, grazie all’impennata della domanda nel mese di marzo, ha segnato un incremento complessivo della spesa trimestrale del 12,4% rispetto allo scorso anno. Molto buono anche il fatturato relativo ai formaggi duri – che rappresentano quasi un quinto della spesa del comparto – e per i quali le vendite del primo trimestre sono cresciute di oltre l’8%, così come quello dei formaggi freschi (+7,9%) e di quelli industriali (+9,5%).
I consumi domestici presentano dunque una doppia faccia. Ma la corsa all’accaparramento da parte delle famiglie non è stata in grado di compensare la chiusura del canale Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café ndr), dinamica simile a quella di settori come quello della carne e quello ittico. Da questo canale, infatti, normalmente si realizza circa il 60% del valore dell’intera filiera nazionale ai prezzi finali, riporta Ismea. Insomma, con meno caffè macchiati e cappuccini serviti al bancone del bar, il segmento soffre. «Solo per i mesi di marzo e aprile – ha dichiarato Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, al Sole24Ore – stimiamo un calo delle vendite tra il 10 e il 15%, equivalenti a una diminuzione di fatturato di circa 400 milioni», considerando il mercato Horeca italiano ed estero, «che a fine anno potrebbero raddoppiare, se non ci sarà la ripresa che tutti speriamo».
Tra tutti i prodotti, è quindi il latte fresco quello che presenta più difficoltà di gestione in questo periodo. La ripartenza a regime ridotto di bar, ristoranti e delle altre attività similari non riporterà nell’immediato la domanda ai tempi pre-Covid. Allo stesso modo le famiglie continueranno a privilegiare prodotti più durevoli. Cosa fare? Una mossa l’ha tentata Granarolo, gruppo che ha in mano più di un quarto della quota di mercato latte italiano. L’azienda bolognese nelle scorse settimane aveva richiesto al ministero delle Politiche agricole il prolungamento della data di scadenza del latte fresco dagli attuali 6 giorni a 10-12 giorni per garantirgli una vita più lunga nel frigo del supermercato. La proposta, tuttavia, è stata bocciata a inizio maggio dal sottosegretario del Ministero Giuseppe L’Abbate in quanto «si tratta di un prodotto facilmente deperibile la cui qualità è garantita non solo attraverso i severi disciplinari di produzione che ne preservano le qualità organolettiche ma anche mediante costanti verifiche sulla tracciabilità». Secondo il presidente del gruppo Granarolo Gianpiero Calzolari nel mese di marzo il consumo di latte fresco ha subito un crollo tra il 25 e il 30% a causa della chiusura di bar e ristoranti. «Stimiamo una perdita di 15 mila tonnellate al mese», ha commentato dopo il respingimento della proposta, che comunque non aveva ottenuto il parere positivo di tutti gli attori del settore. Ogni anno, in Italia, rimangono sugli scaffali 123mila tonnellate di latte fresco.
Se l’emergenza Covid-19 sarà più sopportabile per grandi compagnie che possono contare su una diversificazione di prodotti più ampia, la crisi della domanda di latte fresco rischia di mettere in severa difficoltà molte piccole e medie imprese che hanno nei mercati di vicinanza e nel canale della ristorazione il proprio core business. Realtà che non hanno alternative se non quella aspettare che il mercato torni florido. Riconvertire la produzione, infatti, sarebbe troppo oneroso per aziende di piccole dimensioni. Per questa ragione, Assolatte ha chiesto sia a livello nazionale, sia alle autorità europee di introdurre incentivi alla riduzione della produzione per evitare di inondare il mercato di latte, con un conseguente calo dei prezzi. Già per le consegne di marzo del latte di stalla, segnala sempre Ismea, gli allevatori italiani hanno mediamente percepito 37,6 euro ogni 100 litri, pari a quasi 3 euro ogni 100 litri in meno rispetto a quanto accadeva un anno fa. Effetto delle minori richieste dei caseifici, dovute in parte alla mancanza di addetti assenti per malattia o per limitazioni agli spostamenti, in parte alle difficoltà di collocamento dei prodotti soprattutto a seguito della chiusura del canale Horeca. In tutto questo, assicura sempre Assolatte, i trasformatori si sono impegnati sin dall’inizio della crisi legata al Covid-19 nel garantire la raccolta del latte e il pagamento di un prezzo adeguato ai produttori.
Chi può cerca di dirottare il latte invenduto verso gli impianti di trasformazione per la produzione di formaggi e altri derivati. Con alcune eccezioni: per il latte bufala, ad esempio, è stata introdotta la possibilità di congelamento nell’attesa che le vendite alla ristorazione e le esportazioni di mozzarelle riprendano a buon ritmo. Tra le misure di sostegno al comparto, a fine aprile la Commissione europea ha varato misure a sostegno del settore stanziando 30 milioni di euro da destinare all’ammasso privato di latte in polvere, burro e formaggi. Una misura che ha consentito ai caseifici italiani di stoccare nei magazzini oltre 12mila tonnellate di prodotti da piazzare sui mercati in un secondo momento, ricevendo un indennizzo per i mancati introiti in questo periodo di crisi. Una mossa che ha dato ossigeno al settore, ma fino a un certo punto. La quota di ammasso riservata agli stabilimenti italiani è infatti andata esaurita dal giorno alla notte, testimonianza del momento che vive il settore.
Il mondo lattiero-caseario italiano, insomma, ha retto fino a un certo punto a questa emergenza. I prossimi mesi restano indecifrabili come per la maggior parte dei settori. Assolatte è impegnata su molti tavoli istituzionali. Il dialogo è intenso soprattutto con il ministero degli Esteri per cercare di sbloccare le esportazioni per lo meno all’interno dell’Unione Europea, mercato che vale tra il 75-80% per l’export di formaggi italiani, in un momento in cui il commercio internazionale risulta ancora frenato dalle direttive sanitarie. In parallelo si lavorerà un’intensificazione delle campagne di valorizzazione e promozione dei prodotti italiani per aumentare ancora di più la loro popolarità oltre confine.