La variante inglese del Covid-19, dopo essere stata individuata in Olanda, Danimarca e Australia, è sbarcata anche in Italia con una coppia di rientro dall’Inghilterra, ora in isolamento. Si parla di una mutazione meno aggressiva ma con maggiore capacità di trasmissione, a causa dei cambiamenti nella proteina “Spike”, che il virus utilizza per legarsi alle cellule umane. Ciò che davvero preoccupa è l’eventualità che la mutazione vanifichi l’efficacia del vaccino, ma gli esperti sembrano concordare sull’improbabilità di questo scenario.

Linea condivisa – «Al momento non c’è nessuna evidenza che la variante del virus del Covid individuato in Gran Bretagna sia meno sensibile al vaccino in arrivo, riducendone quindi la sua efficacia. È più veloce ma non più cattivo, al momento infatti non ci sono prove che sia capace di fare maggiori danni all’organismo e uccidere di più», dice all’Ansa il virologo Carlo Federico Perno, Professore di Microbiologia all’UniCamillus e International Medical University di Roma e Direttore del reparto di Microbiologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano, approfondisce le motivazioni: «La variante inglese del Sars-Cov-2 non dovrebbe sfuggire alla protezione della vaccinazione. Questo è dovuto al fatto che gli anticorpi promossi dal vaccino hanno un bersaglio su diversi punti della proteina Spike che si trova sulla superficie del virus, quindi anche se qualche piccola parte della Spike si modifica, viene comunque riconosciuta». Gli fa eco l’immunologo Giacomo Gorini, attualmente ricercatore dello Jenner Institute dell’Università di Oxford: «Gli anticorpi indotti dalla vaccinazione – conferma – potranno comunque legarsi sulla stragrande maggioranza della superficie della proteina Spike che è rimasta invariata».

Parere istituzionale – Arrivano messaggi rassicuranti anche dal fronte istituzionale, ma si invita comunque alla cautela, in attesa di ulteriori verifiche sul genoma. «È una variante che rende il virus più veloce. Sembra non fare maggiori danni ma produce più contagiati e questo resta un problema molto serio – ha dichiarato il ministro della Salute Roberto Speranza a Mezz’ora in più, la trasmissione di Lucia Annunziata – Da primissime informazioni sembra che i vaccini possano funzionare ugualmente ma servono informazioni più solide». Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli ribadisce poi la valenza del vaccino nel corso della trasmissione Che tempo che fa su Rai 3: «Anche se ci sono mutazioni come quelle segnalate, prima in Gran Bretagna poi in altre aree, è altamente improbabile che si perda l’efficacia del vaccino. Davvero la risposta per uscire da questa situazione è il vaccino sia per il profilo di sicurezza che per l’efficacia».

Basta allarmismi – Non mancano le voci di chi, addirittura, considera ingiustificata e dannosa l’attenzione mediatica attorno alla variante inglese: «Non è certo la prima e non merita tutto il clamore che le viene dato. La mia sensazione è che abbia un impatto modesto sul vaccino e a livello clinico. La discussione dovrebbe tenersi su tavoli scientifici prima che sui media, soprattutto in una fase in cui dobbiamo convincere le persone a vaccinarsi. Non è infatti il caso di creare tutte queste preoccupazioni e questi dubbi», afferma a Radio Cusano Campus Massimo Andreoni, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive di Tor Vergata, secondo il quale «serve sempre quel minimo di cautela indispensabile rispetto a notizie che iniziano a circolare prima ancora che ci siano pubblicazioni scientifiche». E aggiunge: «Ormai il vaccino si è capito come farlo, quindi anche se fosse necessario un nuovo vaccino sapremmo farlo rapidamente». Anche Giorgio Palù, virologo dell’Università di Padova e presidente dell’Aifa, durante un‘intervista a La Stampa, sostiene che da parte della Gran Bretagna ci sia stato «un eccesso di prudenza, figlio di una visione allarmistica della pandemia. Dal prototipo di Wuhan sono già avvenute migliaia di mutazioni, che ci consentono di tracciare l’evoluzione del virus e classificare i diversi genotipi, che hanno un unico progenitore. Finora nessuna di queste mutazioni è stata correlata con un aumento della virulenza, cioè con una capacità del virus di fare più male, di uccidere di più. Non ci sono prove che questa mutazione renda il virus più letale o gli consenta di sfuggire ai vaccini».