A Palermo, alle prime ore del 16 dicembre, si cerca l’esplosivo destinato all’uccisione del pm Nino Di Matteo. Nel capoluogo siciliano la Guardia di Finanza ha condotto un’operazione, disposta dalla Procura distrettuale antimafia della città, con l’obiettivo di trovare armi ed esplosivo nel mandamento Resuttana (un mandamento, nel gergo di Cosa Nostra, è una zona di influenza di una o più famiglie affiliate all’organizzazione). Al termine del blitz che si è concluso senza alcun ritrovamento, è stato fermato Vincenzo Graziano, accusato dal pentito Vito Galatolo di essere l’uomo che ha procurato l’esplosivo per un attentato a Di Matteo, uno dei magistrati del processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Secondo Galatolo, che ormai sono settimane che parla e che ha voluto persino vedere Di Matteo per «togliersi un peso dalla coscienza», sono cento i chili di tritolo provenienti dalla Calabria e destinati al pm. Graziano sarebbe stato l’esecutore di un ordine proveniente da Matteo Messina Denaro in persona, e avrebbe dovuto custodire il tritolo in attesa dell’attentato. «Io mi impegnai con 360mila euro, mentre le famiglie di Palermo Centro e San Lorenzo con 70 mila», ha raccontato Galatolo davanti ai pm. «Girolamo Biondino – ha continuato il neo pentito – definì l’acquisto dell’esplosivo dalla Calabria e l’arrivo a Palermo dopo circa due mesi dalla riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano. L’esplosivo, che vidi personalmente in occasione di una mia presenza per un processo a Palermo, era conservato in dei locali all’Arenella».
Il tritolo in questione non è stato trovato nei locali perquisiti e il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, si è detto “inquietato” da questo fatto. Il mancato rinvenimento dell’esplosivo appare ancora più grave a fronte delle parole di Galatolo: «Il progetto dell’attentato non è mai stato messo da parte ma è ancora operativo: una volta nel parlai con Vincenzo Graziano all’interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del Palazzo di Giustizia, ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero stati troppi morti. Pensammo anche di valutare se procedere in località Santa Flavia, luogo dove spesso il dottore Di Matteo trascorreva le vacanze estive».
Federica Scutari