La Camera dei deputati ha approvato l’abolizione dell’abuso d’ufficio, previsto dall’articolo 1 del disegno di legge Nordio. Qualora l’ok fosse confermato al Senato, il reato sarebbe cancellato definitivamente dall’ordinamento italiano. L’eliminazione di questo reato è parte della riforma portata avanti dal ministro della Giustizia, che mira a ridurre anche l’applicazione del traffico di influenze e della Legge Severino, a limitare la diffusione e l’uso delle intercettazioni (per cui potrebbe essere vietato anche solo trascrivere negli atti giudiziari i nomi di terzi coinvolti nelle comunicazioni) e a rivedere altri aspetti del processo, come le misure cautelari e l’appellabilità delle sentenze per alcuni reati tipici dei “colletti bianchi” e degli esponentio politici, soprattutto locali. Il primo sì è stato contestato dalle opposizioni, che vedono nell’abolizione il depotenziamento dei poteri delle Procure sui reati di stampo mafioso.
Cos’è – Disciplinato dall’articolo 323 del codice penale, l’abuso d’ufficio è il reato per cui «il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (…) nello svolgimento delle funzioni o del servizio (…) intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto» approfittando del suo incarico. Viene punito con la reclusione da uno a quattro anni e viene applicato solo se il reato di abuso d’ufficio non serva a commettere un reato più grave. In questo caso, a essere perseguito è direttamente il reato più grave. Nel tempo l’abuso d’ufficio ha finito per colpire spesso sindaci e amministratori locali, che vorrebbero la cancellazione della legge e del relativo reato. Rappresentati dall’Assemblea nazionale dei comuni italiani (Anci), i sindaci e funzionari hanno chiesto più volte che le responsabilità dei sindaci venissero ridimensionate e che fosse abrogata la norma per cui, in base alla Legge Severino, un amministratore condannato in primo grado viene sospeso dall’incarico.
Politica divisa – Da sempre, l’abuso d’ufficio ha polarizzato i partiti. A guidare la linea dei detrattori ci sono i politici appartenenti alla destra di governo, ma martedì 9 gennaio alla Camera hanno votato a favore dell’abolizione anche Azione e Italia viva. Per loro questo reato va eliminato perché nella forma attuale ha paralizzato l’attività di sindaci e amministratori, creando in loro quella che comunemente si chiama «paura della firma», ovvero il timore di prendere decisioni importanti per non incorrere in procedimenti penali. A esprimere voto contrario al ddl Nordio a Montecitorio sono stati Pd, Movimento 5 stelle e Alleanza verdi e sinistra. C’è però una discussione in corso all’interno de Pd. Se infatti i parlamentari del Nazareno si sono opposti alle intenzioni del governo, i sindaci di area hanno esultato al primo ok. Per i sostenitori della norma, questo reato è fondamentale perchè spesso è un «reato spia». Spesso le indagini avviate per abuso d’ufficio hanno poi permesso di mettere in luce condotte gravi avvenute nell’ambito della pubblica amministrazione, come ad esempio i reati di corruzione o azioni illecite legate alla criminalità organizzata. I sostenitori dell’abuso d’ufficio affermmano poi che, senza una legge come la 323 del codice penale, rimarrebbe impunito chi approfitta del proprio incarico per ottenere o fare ottenere vantaggi ad altri. Chi ha votato contro l’abrogazione ha ricordatyo in proposito le raccomandazioni internazionali e i vincoli europei, previsti anche dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che chiedono di aumentare le norme di contrasto alla corruzione e non di diminuirle. Se l’articolo 1 del ddl Nordio venisse confermato, l’Italia sarebbe l’unico Paese in Europa a non prevedere un reato simile.
Condanne e assoluzioni – Tra i motivi per cui, anche all’interno dei partiti, l’argomento suscita divisioni, ci sono le esperienze personali di politici condannati e poi assolti o prosciolti. Secondo un documento presentato da Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione, sarebbero 150 i casi di funzionari di piccoli comuni accusati ingiustamente. Stando a quanto dichiarato al Foglio dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd), su oltre 5mila imputazioni, nel 2021 ci sono state 27 condanne, e quindi «più di 5mila persone hanno visto compromessa la loro reputazione senza motivo». A pesare è infatti anche l’impatto mediatico del processo. Tra i più eclatanti quello di Simone Uggetti. L’ex sindaco di Lodi per il Partito democratico nel 2016 era stato condannato per turbativa d’asta sulla gestione delle piscine scoperte nella città di Lodi. Era stato sospeso dalle funzioni e in un primo momento finito in carcere in misura cautelare. Il processo fu molto criticato, in particolare dai Cinque Stelle, ma nel maggio 2023 Uggetti ne era uscito assolto definitivamente e Luigi Di Maio si era scusato pubblicamente per gli attacchi «disdicevoli» nei suoi confronti. Ancora più pesante la vicenda di Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, coinvolto nella vicenda giudiziaria delle procedure di affidamento del Grande Hotel Miramare. Falcomatà era stato condannato per abuso d’ufficio e quindi per effetto della Legge Severino sospeso dall’incarico nel 2021. Nel 2023 la Cassazione ha però ribaltato la sentenza e lo ha assolto. In molti altri casi però, l’esistenza del reato di abuso d’ufficio ha permesso alle autorità di condurre indagini che hanno poi portato a reati più gravi, in particolare quelli connessi alla criminalità organizzata. Lo ha ribadito, tra gli altri, il capo della Direzione nazionale antimafia (Dna) Giovanni Melillo, che ha spiegato a ilfattoquotidiano.it come l’abuso d’ufficio abbia «frequente connessione con l’agire delle associazioni mafiose. Basta pensare alla descrizione delle condotte associative fatta dall’articolo 416-bis del codice penale per rendersi conto dell’interesse delle mafie a ottenere concessioni e autorizzazioni, o comunque a condizionare la pubblica amministrazione», ha dichiarato Melillo.