È morta all’età di 90 anni Licia Pardini, una delle sopravvissute alla strage di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944, compiuta dai soldati nazisti di Hitler. A comunicare la notizia sono stati il Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna, il Museo storico della Resistenza e il Comune di Stazzema.

Licia Pardini aveva soltanto 12 anni all’epoca del fatto. Riuscì a sfuggire all’eccidio perché il padre Federico l’aveva portata a lavorare nei campi con sé, insieme ai fratelli Vinicio, Siria e Vittorio. Nella strage, considerata uno dei crimini più brutali della Seconda Guerra Mondiale, Pardini perse la madre Bruna e le sorelle Maria e Anna, quest’ultima nata da appena 20 giorni e diventata la vittima più piccola del massacro. Sopravvissero, riuscendo a nascondersi le altre sorelle Adele, Lilia e Cesira.

L’impegno dopo la strage – Una nota del Museo della Pace di Sant’Anna descrive Licia Pardini come «una donna forte, che ha saputo ricordare momenti tanto tragici per essere di insegnamento ad altri». La donna si è adoperata per tenere vivo il ricordo dell’eccidio e farlo sopravvivere allo scorrere del tempo soprattutto nei suoi colloqui con gli studenti delle scuole. Dopo la maturità si è impegnata anche per il suo paese prendendo in gestione uno spaccio alimentare per sfamare i lavoratori che uscivano dalle miniere, collaborando alla cura della chiesa locale, partecipando alle commemorazioni e alle feste paesane. «La scomparsa di Licia è una grave e irreparabile perdita», si legge ancora nella nota del Museo.

Sant’Anna di Stazzema – La strage di matrice nazista, a cui parteciparono anche i fascisti, avvenne nel 1944 a Sant’Anna, frazione del comune di Stazzema, in provincia di Lucca. Nella mattina del 12 agosto tre reparti della 16ª divisione PanzergrenadierReichführer-SS” irruppero nel paese bloccando ogni via di fuga. In circa tre ore persero la vita 560 persone, tra cui molti bambini. Questi fatti rimasero sconosciuti fino alla metà degli anni ’90, quando nel palazzo Cesi-Gaddi di Roma fu trovato un dossier riportante i crimini di guerra commessi sul territorio italiano e nei Balcani durante l’occupazione nazifascista. Il ritrovamento ha permesso di dare il via al processo per l’eccidio, dal quale furono pronunciati dieci ergastoli per gli ufficiali delle SS che comandavano i reparti.