Faceva parte della squadra di minatori che l’11 luglio 1981 si calò in uno dei pozzi artesiani di Vermicino, quello in cui era precipitato il piccolo Alfredo Rampi, e fu lui a recuperarne il corpo senza vita. Lionello Lupi si è spento nella notte tra l’8 e il 9 gennaio, in una Rsa di Orbetello (in provincia di Grosseto). Avrebbe compiuto 95 anni il prossimo 4 febbraio, ma il Covid-19, contratto proprio all’interno della residenza sanitaria dove risiedeva ormai da un anno, lo ha ucciso prima dei festeggiamenti. Da dicembre era ricoverato nel reparto di malattie infettive Covid nell’ospedale Misericordia di Grosseto, a causa di un aggravamento delle sue condizioni.

10 giugno 1981 – Alfredo Rampi, detto ‘Alfredino’, aveva 6 anni quando il 10 giugno del 1981 cadde nel pozzo artesiano in via Sant’Ireneo, alle porte di Roma. Stava tornando a casa nel tardo pomeriggio dopo una passeggiata con lo zio e il padre, ai quali aveva chiesto di poter proseguire la camminata da solo perché particolarmente affamato. Ma non rincasò mai. I genitori di Alfredo avvisarono le forze dell’ordine che cominciarono le ricerche aiutate dalle unità cinofile e da alcuni abitanti del posto. La nonna fu la prima a ipotizzare la caduta in quel pozzo che non era molto distante dalla loro abitazione, e che era coperto da una sola lamiera fermata con dei sassi. Il brigadiere Giorgio Serranti ispezionò la struttura riuscendo a sentire alcuni deboli lamenti provenire dal suo interno. Solo dopo si scoprì che il proprietario di quel terreno, l’abruzzese Amedeo Pisegna, aveva messo una lamiera di copertura quella sera stessa. Verrà poi arrestato con l’accusa di omicidio colposo.

I soccorsi – Dal momento in cui Alfredo venne individuato, partirono i primi tentativi di salvataggio. A quei tempi non esisteva ancora la Protezione Civile, e a tentare le prime operazioni di soccorso furono un po’ tutti. Poiché la larghezza dell’imboccatura della voragine non superava i 30 centimetri e le pareti presentavano sporgenze notevoli, si ritenne impossibile calare qualcuno. Venne così legata una tavoletta con delle corde, in modo da permettere ad Alfredo di aggrapparcisi. La tavoletta si incastrò però nel pozzo, rappresentando così un ulteriore impedimento al salvataggio. I Vigili del Fuoco cominciarono poi a scavare un tunnel parallelo, mentre alcuni speleologi del Soccorso Alpino tentarono di calarsi a testa in giù.

Copertura mediatica – Erano giunte ormai le 13:00 dell’11 giugno 1981, ora in cui solitamente vanno in onda le edizioni di mezza giornata del Tg1 e del Tg2 nei canali Rai. Fino a quel momento solo alcuni servizi erano stati dedicati alla vicenda del Vermicino, ma poiché il comandante dei Vigli del Fuoco Pastorelli affermava che la perforazione del tunnel che avrebbe consentito il salvataggio del piccolo Alfredo era ormai prossimo alla conclusione, una troupe del Tg2 cominciò una diretta. Questa venne prima riproposta dal Tg1 e poi anche dal Tg3, nella speranza di poter cogliere i primi attimi del salvataggio. La copertura a reti unificate dell’evento attirò un’attenzione tale che nei pressi di quel pozzo giunsero in breve tempo migliaia di persone seguite da venditori ambulanti di cibo. Nel pomeriggio del 12 giungo arrivò anche il presidente della Repubblica Sandro Pertini che grazie a un microfono tentò di comunicare direttamente con il bambino. La diretta dal Vermicino durò in totale 18 ore, in cui si registrarono picchi di telespettatori che superavano i 28 milioni.

Recupero – Quando il tunnel dei Vigli del Fuoco venne fatto entrare in comunicazione con il pozzo mancavano ancora una trentina di metri per poter raggiungere Alfredo, ma ora la discesa era possibile. A tentare la calata per primo fu lo speleologo Claudio Aprile, poi toccò al tipografo sardo Angelo Licheri (offertosi volontario anche grazie alla sua figura esile e alla bassa statura). Il tempo passava e nessuno riusciva ad afferrare saldamente Alfredo. La morte venne accertata la mattina del 13 giugno, quando uno stetoscopio fatto calare per percepire il battito cardiaco non registrò nulla. Il corpo fu recuperato solo l’11 luglio 1981, proprio dalla squadra di minatori di cui faceva parte Lionello Lupi. L’idea fissa che Alfredo potesse essere salvato ha accompagnato Lionello negli ultimi 40 anni, divenuta un’ossessione ma anche un modo per tenere vivo il ricordo di quello sfortunato bambino.